giovedì 29 settembre 2011

DIPENDENZA DA ALCOL

Con il termine alcol si intende comunemente definire l'alcol etilico o etanolo. L'alcol assoluto ha una purezza del 99% essendo il rimanente 1% rappresentato da acqua. L'alcol etilico è il principale componente psicoattivo presente nelle bevande alcoliche.

42-17924575.jpgIl suo contenuto nelle bevande si esprime attraverso il numero di gradi alcolimetrici (°) che rappresenta la percentuale in volume (% vol.) di etanolo nella soluzione acquosa; così nella birra chiara abbiamo una concentrazione di alcol pari a 5-6° o più; nel vino 10-12°; nei superalcolici 40-50° ed oltre.

ASTEMIO
Colui che non beve alcolici di nessun tipo.
 
 BEVITORE MODERATOColui che beve modiche quantità di alcol senza ripercussioni al livello sociale e senza sviluppare sintomi fisici di tolleranza e astinenza.

BEVITORE PROBLEMATICOColui che fa uso continuo di alcol anche se la sostanza gli causa problemi sociali, lavorativi, psichici o fisici e viene assunta in condizioni fisicamente rischiose (guida).

ALCOLISTAColui che ha perso la capacità di controllo nei confronti dell’alcol, che viene assunto nonostante il verificarsi di conseguenze negative. L’alcolista sviluppa pertanto una dipendenza dall’alcol che, nei casi più gravi, arriva ad essere una dipendenza fisica: in tal caso la persona può soffrire la sindrome di astinenza.

ASTINENTEColui che manifesta sintomi psicofisici in seguito ad una brusca sospensione dell’assunzione di alcol. I principali sintomi sono: tremore, nausea, vomito e, in casi estremi, zoopsie e stato confusional

Associazione Onlus "La Promessa"

DIPENDENZA DA INTERNET

NOVITA'
ESEGUI IL TEST DI INTERNET ADDICTION!
Nel 1995 lo psichiatra americano Ivan Goldberg ha introdotto l'espressione " Internet Addiction Disorder " (I.A.D.) individuandone i sintomi caratteristici, di seguito elencati:
  1. bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere  soddisfazione;
  2. marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano Internet;
  3. sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell'uso della rete, di agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line, classici sintomi astinenziali;
  4. necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all'intenzione iniziale;
  5. impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l'uso di Internet;
  6. dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla rete;
  7. perdurare dell'uso di Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete stessa.
CARATTERISTICHE ASSOCIATE:
  1. perdita delle relazioni interpersonali;
  2. modificazioni dell'umore;
  3. alterazione del vissuto temporale;
  4. cognitività completamente orientata all'utilizzo compulsivo del mezzo;
  5. "feticismo tecnologico" : tendenza a sostituire il mondo reale con un oggetto artificioso con il quale si riesce a costruire un proprio mondo personale e in questo caso virtuale;
  6. deprivazione del sonno;
  7. problemi fisici di varia natura (mal di schiena, affaticamento degli occhi, sindrome del tunnel carpale, ecc.);
SI DISTINGUONO 5 SOTTOTIPI DI DIPENDENTI DA INTERNET:
  1. Cybersexual Addiction : uso compulsivo di siti dedicati al sesso virtuale e alla pornografia;
  2. Cyber-Relational Addiction : eccessivo coinvolgimento nelle relazioni nate in rete;
  3. Net-Compulsions : comportamenti compulsivi collegati a diverse attività in Internet quali gioco d'azzardo, shopping e commercio on -line, con conseguenti perdite ingenti di denaro;
  4. Information Overload : ricerca ossessiva di informazioni tramite la "navigazione" sul World Wide Web;
  5. Computer Addiction: tendenza al coinvolgimento eccessivo in giochi virtuali, come per esempio i MUD's  (Multi User Dimensions - giochi di ruolo).
Associazione Onlus "La Promessa"

DIPENDENZA DA CIBO

Crisi e conflitti dell’Adolescenza trovano nei comportamenti alimentari una manifestazione sintomatica di espressione.
L’Anoressia, la Bulimia e l’Obesità sono i disturbi del comportamento alimentare più importanti e noti, ma ne esista una varietà più ampia che varia tra situazioni di normali crisi evolutiva e quadri patologici. I disturbi del comportamento alimentare nell’adolescente si manifestano in forme particolari, sfumate e del tutto individualizzate tali da creare una grande confusione e difficoltà.

ANORESSIA NERVOSAanoressia2.jpgCaratteristiche:
> desiderio di essere sottopeso e severa perdita di peso (meno dell’85% del peso standard)
> paura di ingrassare
> preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico
> amenorrea (mancanza di almeno tre cicli mestruali consecutivi) nelle donne; perdita dell’interesse sessuale e impotenza negli uomini
Si distinguono due sottotipi di anoressia nervosa:
> anoressia nervosa con restrizioni
> anoressia nervosa con abbuffate e condotte di eliminazione

BULIMIA NERVOSAbulimia1.jpgCaratteristiche:
> abbuffate ricorrenti (consumo di una grande quantità di cibo per un periodo di tempo abbastanza lungo e sensazione di perdita di controllo sull’atto di mangiare)
> comportamenti di compenso
> frequenza delle abbuffate e dei comportamenti di compenso (almeno due volte la settimana per tre mesi)
> preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico
Si distinguono due sottotipi di bulimia nervosa:
> con condotte di eliminazione
> senza condotte di eliminazione (digiuno o esercizio fisico eccessivo).

OBESITA'obesita1.jpgCaratteristiche:
> Peso corporeo maggiore del 20% rispetto al peso ideale (calcolato in base all’età, all’altezza, al sesso e al tipo di costituzione della persona).
> Eccessi alimentari
> Il cibo diventa l’unica fonte di gratificazione.
  
Le maggiori cause:
> Genetiche
> Ambientali
> Psicologiche

Esistono due tipi di obesità:
> Obesità di sviluppo: si presenta sin dall’infanzia e dipende da fattori costituzionali.
> Obesità reattiva: si sviluppa generalmente dopo un trauma emotivo (eventi vissuti dal bambino in traumatico).

BMIIl Body Mass Index, o indice di massa corporea, è il risultato del peso (in Kg.) diviso per il quadrato dell'altezza (in m. quadrati). Se il BMI è 30 è obeso (per gli adolescenti e per i bambini i range di peso variano a seconda dell’età).
Oscillazioni di peso (fino a 3 Kg.) sono considerate fisiologiche. Il range di peso accettabile non dovrebbe mai essere inferiore ad un BMI di 18,5. Al di sotto di questo valore compaiono i sintomi da digiuno.

ALTRI DISTURBI

Oltre all’anoressia e alla bulimia nervosa, cominciano ad avere molta risonanza sociale altri disturbi del comportamento alimentare:

L’ortoressia consiste in un'attenzione eccessiva e continuativa per i cibi sani (tipo cibi biologici), che puo’ trasformarsi in una vera e propria patologia nervosa, tanto da spingere le persone ad adottare una dieta sempre più rigida fino a eliminare gruppi essenziali di cibi, ritenuti dannosi per l’organismo, e creare carenze gravi per l’organismo.

La Bigorexia è invece una situazione che possiamo descrivere come inversa dell’ anoressia in quanto si è costantemente preoccupati di essere troppo magri. Osservata soprattutto nei circoli di body building va tuttavia distinta dal tipico gym-goer in quanto si è disposti a tutto pur di incrementare la massa muscolare. Questo comportamento può portare a conseguenze molto pericolose per la salute.

Alcuni soggetti inoltre presentano problemi appartenenti sia alla sfera dei disturbi del sonno che a quella della condotta alimentare e sono i casi che rientrano nel Sleep Eating Disorder o nella Night Eating Syndrome.

Il SED (Sleep Eating Disorders) è un disturbo del sonno caratterizzato da episodi ricorrenti di sonnambulismo durante i quali i soggetti fanno abbuffate consistenti per lo più in grandi quantità di cibo ad alto contenuto di zucchero o grassi. Tali pazienti spesso non ricordano questi episodi e questo costituisce un alto rischio di autolesionismo non intenzionale.

Il NES (Night Eating Sindrome) è un disturbo in cui i soggetti rifiutano il cibo nella giornata, in genere saltando la colazione e non mangiando fino a mezzogiorno, mentre la sera o la notte fanno un consumo eccessivo di cibo. Tale comportamento rende fallimentare tutti i tentativi di perdere peso, aumenta lo stress e l’ansia influenzando sia la fase di addormentamento (difficoltà ad addormentarsi) che quella del sonno vero e proprio (incubi o risvegli frequenti), nonché - a lungo andare- ad avere problemi a stare svegli durante il giorno o ad addormentarsi nelle situazioni meno indicate.
 
Associazione Onlus "La Promessa"

DIPENDENZA DA DROGHE

Con il termine di tossicodipendenza si definisce (OMS) la condizione che spinge l'individuo, in maniera più o meno coatta, ad assumere sostanze (droghe) a dosi crescenti o costanti per avere temporanei effetti benefici soggettivi, la cui persistenza è indissolubilmente legata alla continua assunzione della sostanza, con conseguenze nocive per l'individuo e la società.desert Il termine tossicodipendenza ha sostituito gradualmente il precedente di tossicomania.
Per tossicomania si intende (OMS) uno stato di intossicazione cronica o periodica prodotto dal consumo ripetuto di una droga naturale o sintetica.
LE SUE CARATTERISTICHEIl desiderio invincibile di continuare ad assumere la droga: esso è legato al desiderio di provare nuovamente i suoi effetti piacevoli.
Una dipendenza psichica dalla droga: la dipendenza psichica si riferisce al desiderio di sperimentare gli effetti benefici legati all'assunzione della droga, la fuga dall'ansia e dal conflitto, l'evasione dalla noia.
Una dipendenza fisica dalla droga: la dipendenza fisica si riferisce alle modificazioni chimico-fisiche che la droga produce nell'organismo, per cui esso non può più farne a meno, nel senso che la droga si inserisce nel metabolismo in maniera di divenire essenziale per il funzionamento dell'organismo.
La scomparsa della droga dall'organismo provoca segni e sintomi di squilibrio, di sofferenza, di alterazione funzionale: la sindrome di astinenza dalla droga.
La tendenza ad aumentare le dosi è legata al fenomeno dell' assuefazione o tolleranza, condizione per cui l'uso protratto di una sostanze determina nell'organismo che l'assume effetti soggettivi sempre più scarsi, per cui per ottenere sempre lo stesso effetto iniziale bisogna aumentare le dosi.

Associazione Onlus "La Promessa"

mercoledì 28 settembre 2011

LA DIPENDENZA NELLE RELAZIONI

Anna Poletti intervista Loris Adauto Muner – pubblicato su AuraWeb



- Che cosa sono le dipendenze e in che modo danneggiano la nostra vita?
Ogni forma di dipendenza deriva dal credere che ci sia qualcosa al di fuori di noi che possa salvare o rovinare la nostra vita. Le forme di dipendenza possono variare: si pensi alla dipendenza da sostanze farmacologiche, alle droghe, all’alcol, ma anche al campo delle relazioni, agli atteggiamenti compulsivi e alle dinamiche relative al lavoro. Ma la credenza magica ad esse sottostante è la medesima.
Le dipendenze, con i loro “demoni”, attaccano la nostra anima e ci privano, da un punto di vista esistenziale, della nostra responsabilità umana. Senza libertà di scelta l’uomo si oggettivizza, diventa “cosa”. Senza responsabilità viene meno anche la libertà, la caratteristica peculiare dell’essere umano.
Se la responsabilità della nostra vita dipende da una sostanza, da una donna, dal lavoro, automaticamente si è privati della libertà. E senza libertà l’anima viene schiacciata, annientata. Ho conosciuto tanti esseri umani a cui la dipendenza dall’eroina aveva ridotto l’anima a un lumicino fievole, a una fiammella quasi estinta.


- Quali sono i passi da compiere per liberarsi dalle dipendenze?
Lavorare in comunità mi ha portato a conoscere il Programma dei dodici passi ideato dai primi Alcolisti Anonimi, il famoso gruppo di auto-aiuto che si è dimostrato valido per liberarsi dalle dipendenze, di qualsiasi tipo esse siano.
Il primo passo è arrendersi. Dalla dipendenza non si esce fino a che si crede di comandare e di controllare l’oggetto della dipendenza. Alla base della dipendenza vi è un delirio di onnipotenza, e, in questo senso, potremmo affermare che la dipendenza è il trionfo dell’Ego sul Sé.
L’Ego è la mente della scarsità, la mente della paura, come lo definiscono i buddisti. L’Ego si struttura sulla paura, e la resa dell’Ego significa rinunciare al delirio di onnipotenza e affidarsi a una saggezza spirituale.
Fuori dal sistema dell’Ego non si sente mancanza, non si ha paura di perdere qualcosa, perché il cuore è ricolmo d’amore e si scopre che la pienezza, l’innamoramento e l’amore sono uno stato dell’anima e non dipendono da altre persone. Le persone di cui ci innamoriamo sono gli specchi che ci rimandano il nostro Sé, la nostra anima. Spesso ci innamoriamo degli specchi, dimenticando che è il riflesso che ci rimandano a cui in realtà aneliamo.

- Affidarsi a un Potere Superiore per essere aiutati a liberarsi dalle dipendenze che rendono incontrollabile la nostra vita. Cosa significa?
Affidarsi a un Potere Superiore, a Dio per chi crede, oppure al proprio Sé, è un passaggio fondamentale che permette di aprirsi un varco nel percorso del Perdono. Vi è un aspetto salvifico nella dipendenza: se riesco a sbattere per terra il muso dell’Ego, e mi arrendo, si apre una via spirituale.
Il bisogno di dipendenza si può definire in due modi, a due livelli diversi; il bisogno di controllo, che fa parte della struttura dell’Ego, e il bisogno di totalità, che fa parte del mondo del Sé. Il desiderio di riunirsi alla totalità, che spesso viene mal compreso e vissuto come bisogno di simbiosi, è un anelito alla ricerca spirituale.
Quando, ai soggetti dipendenti, sono riuscito a fare spostare l’attenzione dalla droga verso la ricerca di spiritualità e di assoluto, ho potuto costatare una forte sensibilità a questo richiamo. Spesso i tossicodipendenti cercano, anche se in modo sbagliato, i valori assoluti.

- Quanta importanza hanno la conoscenza di se stessi e dei propri errori per uscire da una dipendenza?
Liberarsi da una dipendenza implica necessariamente la comprensione di se stessi. Se sono dipendente proietto la responsabilità della mia vita al di fuori di me. L’opposto della dipendenza è la presa di responsabilità e quindi la libertà, che può venire solo con la consapevolezza.
Riconoscere i propri errori è un primo passo, ma non basta. Il passaggio successivo è la consapevolezza. Sono consapevole solo se mi assumo la responsabilità delle conseguenze del mio problema. Bisogna avere il coraggio di ammettere i propri errori fino in fondo.
Quando un alcolista riesce a dire alla persona a cui è legato: “so che bevo perché in questo modo ti ricatto moralmente e ti lego a me”, o una donna depressa al suo compagno: “io ho una depressione perché in questo modo ti faccio sentire in colpa e tu non mi lasci”, solo allora, quando si sa di avere peccato, non si è più nel peccato.

- Cos’è la codipendenza? Come liberarsi dal bisogno di controllare gli altri e di farci controllare dagli altri?
La codipendenza è un’altra forma di dipendenza. Il dipendente ha bisogno di una certa cosa. Il codipendente invece ha bisogno del bisogno che il dipendente ha di una certa cosa. Spesso i codipendenti, ad esempio la moglie di un alcolizzato, nel momento in cui il marito cerca di venirne fuori, fa inconsciamente di tutto per indurlo ad una ricaduta. Hanno bisogno della dipendenza dell’altro per crearsi un’identità e soddisfare i propri bisogni.
L’unica differenza tra il dipendente e il codipendente è che quest’ultimo crede di essere sano. E crede anche che salverà l’altro. Pensiamo alla famosa “sindrome della crocerossina”. In fondo sia il dipendente che il codipendente cercano di usare qualcos’altro per sfuggire alla responsabilità della loro vita.

- Quali sono le basi su cui instaurare una relazione sana?
Premetto che le relazioni sane sono piuttosto rare, anche se ci sono. Riconoscere l’amore come una via che conduce a Dio, e non come a una via che conduce all’altro è la soluzione. L’altro è uno specchio che riflette la nostra anima. Amare l’anima, non gli specchi, è la base per creare una relazione sana. Aprirsi all’altro e al contempo a se stessi, fare accadere l’incontro che rivela l’io al tu, inter-essere è amore.
La mia esperienza con i tossicodipendenti mi ha fatto capire che non basta togliere l’eroina, la sostanza che genera dipendenza. Eliminata l’eroina, resta il vuoto esistenziale. Per restituire l’uomo a se stesso, prima che possa donarsi all’altro, bisogna iniziare col dargli un senso di appartenenza (ad esempio a un gruppo o al terapeuta). E’ un passaggio indispensabile per potersi poi separare, e per conquistare la libertà da cui sgorga l’amore.

- Quali sono state le maggiori soddisfazioni raccolte durante gli anni trascorsi con i tossicodipendenti?
Le maggiori soddisfazioni? Vederli tornare a vivere con l’anima accesa. Le tristezze, ovviamente, vedere che alcuni non ce la facevano a vincere la morte. Una volta, ricordo con particolare felicità, uno di loro mi disse: “sai, abbiamo deciso che tu sei quasi come noi, ma guarda che non lo diciamo a tutti.”

L' ADOLESCENZA INTERMINABILE: ASPETTI SOCIALI E PSICOLOGICI

Se c’è un periodo della vita che più di ogni altro può essere paragonato ad una seconda nascita, persino da un punto di vista biologico, questo periodo è senza dubbio l’adolescenza. Se infatti è vero che ogni fase della vita comporta dei cambiamenti psichici e fisici, si pensi per esempio all’età infantile o all’invecchiamento, è anche vero che i cambiamenti che impone l’adolescenza si caratterizzano per il loro presentarsi in modo drammaticamente rapido, rapidità per lo più estranea agli altri periodi dell’esistenza.

La comparsa delle mestruazioni e la assunzione di forme femminili nelle ragazze, lo sviluppo muscolare virile, la crescita della barba, dei peli, il cambio della voce, e soprattutto la maturazione psicofisica che predispone verso l’attività sessuale, rendono l’adolescenza un periodo che impone necessariamente dei cambiamenti psichici, semplicemente perché tutte le trasformazioni sopraelencate “accadono” senza possibilità di opporvisi.
I cambiamenti adolescenziali impongono al giovane di confrontarsi con alcuni “nodi” chiave della vita, che possiamo sintetizzare in questa maniera: la necessità di separarsi psicologicamente dai propri genitori per poter ricercare, trovare e costruire la propria identità personale.Storicamente, questo processo di costruzione della propria identità personale, trovava un inizio e una fine con l’iniziare della pubertà e i diciannove/venti anni. Attualmente invece l’adolescenza si prolunga ben oltre i 20 anni, non a caso molti autori, ha avuto modo di far notare Giorgio Cavallari (2003), parlano di “adolescenza interminabile”.
Le cause di questa interminabilità dell’adolescenza vanno ricercate sia in aspetti sociali che in aspetti psicologici. Da un punto di vista sociologico ci sono almeno 2 fattori che differenziano la società contemporanea da quella appena precedente: l’assenza di guerre che vedano direttamente coinvolti un numero di persone esorbitante (basti pensare alle due guerre mondiali del secolo scorso), e l’essere passati da famiglie molto numerose a famiglie nucleari con pochissimi figli.
Sia le guerre, sia le famiglie numerose “spingevano” il giovane adolescente a diventare subito adulto: le guerre e la povertà tipica delle famiglie numerose costringevano di fatto gli adolescenti ad uscire di casa, a procurarsi un reddito, e a trovare con velocità un loro posto nel mondo. Oggi, fortunatamente, queste pressioni sociali esercitate da guerre e povertà sono venute meno e di conseguenza ciò ha inevitabilmente rallentato il processo adolescenziale.
Tuttavia, i soli cambiamenti socio-economici non spiegano la contemporanea interminabilità dell’adolescenza. Per capire meglio le nuove adolescenze dobbiamo fermarci ad analizzare i cambiamenti psicologici che hanno investito le figure genitoriali. In altre parole, è cambiato il modo in cui i genitori vivono e interpretano la paternità e la maternità. Per esempio, i padri tradizionali, con il loro carattere autorevole, dominante, spesso e volentieri eccessivamente autoritari, creavano una tensione tale nell’adolescente, che di fatto facilitavano nell’adolescente stesso il desiderio di formarsi una propria famiglia. Cioè, i padri di una volta creavano conflitto con i figli, e quest’ultimi uscivano dal conflitto diventando adulti.
I padri attuali, quando sono realmente presenti, tendono ad essere  molto più affettivi che normativi (Zoja 2001), sanno stare molto più in relazione con i figli, ma hanno un pochino perso la loro funzione classica di spingere la prole verso l’esterno. Anche le madri sono cambiate: le madri di qualche decennio fa avevano molti figli e decidevano, forse sarebbe meglio dire accettavano, di diventare madri e mogli perché quello era il solo destino che una società essenzialmente patriarcale riservava loro, mentre le madri attuali lo divengono perché scelgono consapevolmente di esserlo. Divengono madre più tardi, sono più mature rispetto alle loro antenate, ed hanno meno figli. Ciò vuol dire che psicologicamente investono di più sui figli, anche perché spesso ne hanno uno solo.Tutto ciò, anche se spesso, e ciò non è poco, trasmette un maggiore calore emotivo ai figli rispetto al recente passato, influenza anche la durata del processo adolescenziale perché sostanzialmente è cambiato il terreno psichico su cui si dipana l’adolescenza. Semplificando un pochino, da un punto di vista psicologico, si può dire che mentre una volta l’adolescente veniva energicamente spinto dalla famiglia e dalla società in genere a divenire adulto, al giorno d’oggi deve lottare per raggiungere la condizione adulta.
Perché mai gli adolescenti di oggi dovrebbero lottare per divenire adulti? Proviamo a rispondere con un esempio. Molti giovani di oggi, dopo aver terminato gli studi, si trovano in una condizione lavorativa  precaria e per uscire di casa forse dovrebbero anche pagare un affitto. Insomma, una situazione oggettivamente difficile. Hanno dei propositi, dei progetti, ma interviene la voce razionale della famiglia d’origine, e forse più nello specifico della propria madre: “Qui da noi, è più comodo. Hai tutto lavato, non devi cucinare, a fine mese risparmi facilmente e se vuoi puoi permetterti vacanze, ristoranti, svaghi.” Effettivamente viene proposta una situazione comoda, certamente in perfetta buona fede, perché si vuol proteggere il proprio figlio/a. Una situazione appunto in cui si può però rimanere impantanati per l’eternità.
Continuare a vivere, psicologicamente parlando, in una situazione protetta finisce infatti con il produrre una stasi esistenziale da cui è poi sempre più difficile uscire. L’eccesso di protezione con il tempo porta a vivere in una condizione di irrealtà, di regressione, perché conduce l’individuo a voler rimanere ancorato per sempre alla famiglia d’origine. In altre parole il non saper rinunciare alla protezione genitoriale, mi si permetta l’espressione, fa scivolare verso una condizione puerile.L’adolescente è quindi costretto a lottare con tutto se stesso per evitare che tutto ciò accada, è costretto a lottare per non svegliarsi un giorno e scoprire di essere anagraficamente adulto senza aver vissuto da adulto.
Marie-Louise Von Franz, nel suo libro “Il processo d’individuazione nella fiaba” (1987), descrive con dovizia di particolari le qualità dell’eroe, ne sottolinea in particolar modo un aspetto: “Se si studiano gli eroi della mitologia comparata, si scoprirà che sono contraddistinti da una vocazione che realizzano senza la minima esitazione.” (Von Franz, 1987, pag. 90) Secondo la Von Franz, ciò denota un’insolita unità della personalità:  l’eroe non discute, ma semplicemente sa e fa quello che deve essere fatto. La Von Franz, analista di primissimo piano e profonda conoscitrice di mitologia e fiabe, è ben consapevole del fatto che il comportamento eroico non si incarna mai totalmente in una persona reale, ma è altrettanto ben consapevole del fatto che l’immagine dell’eroe appartiene naturalmente alla psiche umana, in quanto immagine radicata nell’inconscio collettivo di noi tutti. Da qui ne deriva il suo potenziale “curativo”. Infatti, secondo la Von Franz, l’immagine dell’eroe si attiva nella psiche inconscia, per esempio inizia a comparire nei sogni, nel momento in cui una persona non riesce a superare certe difficoltà esistenziali. In sostanza, la psiche inconscia cerca di aiutare la parte più cosciente della personalità ad andare oltre le sue difficoltà.
Adesso, tornando sul nostro discorso relativo all’interminabilità dell’adolescenza, possiamo notare che gli adolescenti contemporanei hanno bisogno di assumere su di essi l’atteggiamento eroico. Ovviamente non possono essere eroi tout court, ma devono averne l’atteggiamento per riuscire a rinunciare, almeno in buona parte, alla protezione che offre la propria famiglia d’origine.
L’atteggiamento eroico fa volare alti, spinge a credere in qualcosa che al momento ancora non c’è, e proprio in virtù di ciò aiuta l’adolescente a confrontarsi con quella realtà esterna di cui ha tanta paura. L’atteggiamento eroico insegna a fidarsi di se stessi, a saper reggere la frustrazione dei momenti difficili, a saper vincere, ma anche a saper perdere. Inoltre, facendo confrontare l’adolescente con la realtà, l’atteggiamento eroico  aiuta nel divenire adulti, perché pone l’adolescente in condizione di poter ricevere una “restituzione sul suo conto” dalla realtà stessa:  in ultima istanza, il confronto con la realtà permette cioè all’adolescente di capire meglio chi veramente è, cosa vuole, cosa desidera e cosa può concretamente fare.In conclusione possiamo dire che se l’adolescenza è diventata interminabile è perché  essere adolescenti oggi è difficile, perché il passaggio all’età adulta non è più né scontato, né automatico, bensì è un qualcosa che va conquistato sul campo. E’ un passaggio assolutamente non facile e le risorse per farcela l’adolescente deve trovarle essenzialmente dentro di sé: deve avere il coraggio di fare appello al suo lato eroico per non far spegnere quella fiamma interiore che ci spinge a crescere e divenire quello che più intimamente siamo.

Luca Zucconi

LE NUOVE DIPENDENZE PATOLOGICHE

L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive il concetto di dipendenza patologica o di sindrome della dipendenza come “quella condizione psichica e talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione” (cit, in Pigatto, 2003).
Anche nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR, APA, 2000) e del Manuale di Classificazione delle Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali (ICD-X, OMS, 1994) la nozione di dipendenza presuppone esclusivamente l’uso di sostanze psicoattive.
Al di là dell’importazione sopraccitata e largamente condivisa nella letteratura scientifica e nella pratica clinica, la nozione di dipendenza viene sempre più frequentemente utilizzata per spiegare anche, sintomatologie derivanti dalla ripetizione di altre attività per lo più socialmente accettate, che non implicano l’assunzione di alcuna sostanza (Del Miglio & Corbelli, 2002; Shaffer & Kidman, 2003).
Queste nuove dipendenze o dipendenze comportamentali si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti, tra esse le più note e maggiormente indagate sono il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP), lo Shopping Compulsivo, la Dipendenza da Lavoro e da Studio, le Dipendenze da Tecnologia, le Dipendenze Relazionali e alcuni Disturbi Alimentari (Marganon e Aguaglia, 2003).
Infatti, diversi studi evidenziano come sia le dipendenze comportamentali (Nuove Dipendenze) sia quelle determinate dall’uso di sostanze presentano delle somiglianze che possono essere così riassunte:
- la sensazione di impossibilità di resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento (compulsività);
- sensazione crescente di tensione che precede immediatamente l’inizio del comportamento (craving);
- piacere e sollievo durante la messa in atto del comportamento;
- percezione di perdita di controllo;
- persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative.
In questo modo risulta chiaro che le tossicodipendenze sono solo una classe dei disturbi di dipendenza. Francisco Alonso- Fernandez (1999) propone una suddivisione generale delle dipendenze che si basa su delle regole sociali e li distingue in:
- dipendenze sociali o legali: costituite da droghe legali (tabacco, alcol, farmaci, ecc.) e da attività socialmente accettate come mangiare, lavorare, fare acquisti, giocare, navigare sull’internet, ecc. In questa categoria sono incluse secondo l’autore, le dipendenze senza droga che risultano agevolate dall’innovazione tecnologica della società moderna che genera stress, noia e senso di vuoto ma stimola un’immediata gratificazione.
- dipendenze antisociali o illegali: costituite da dipendenze da droghe ed attività illegali, per esempio oppiacei, cocaina, stuprare, ecc.
La classificazione cosi mette in risalto la natura sociale e culturale delle dipendenze e suggerisce che le differenze tra dipendenze da sostanze e da comportamenti esistono non tanto per le sintomatologie ad esse associate, quanto per le caratteristiche intrinseche degli oggetti di dipendenza.
Ulteriori conferme nel considerare le dipendenze comportamentali come le tossicodipendenze, oltre che la similarità nei diversi sintomi, vi sono anche i risultati di numerosi studi che riportano un’elevata frequenza di condizioni di poli-dipendenza (Gossip, 2001), - ossia la compresenza di una o più dipendenze da sostanze e comportamenti nella stessa persona - di cross-dipendenza - ossia il passaggio nella storia della vita della persona da una dipendenza ad un’altra e - la similarità nei principali fattori di rischio - ossia impulsività, ricerca di sensazione, esposizione precoce, familiarità e nei fattori di protezione - ossia controllo genitoriale, adeguate capacità metacognitive.
Tali risultati portano molti autori a postulare, appunto, una vera e propria Sindrome da Dipendenza o Dipendenza Patologica (Orford, 2001) che è prodotta semplicemente dalla ripetizione di qualsiasi comportamento che assume rilevanza psicologica per l’individuo, nel senso soprattutto di riduzione di stati emotivo-affettivi percepiti negativamente e contemporaneamente di intensificazioni ed esaltazione di stati positivi di percezione di sè e del mondo.
Il punto d’arrivo naturale di questa prospettiva non è tanto il riconoscimento che certe condotte compulsive, come il gioco d’azzardo patologico, costituiscano vere e proprie dipendenze alla stegua delle tossicodipendenze e quindi che esistano tante dipendenze, bensì l’idea dell’esistenza di un’unica sindrome di dipendenza che può avere espressioni molto diverse. Questa visione ha diverse implicazioni sia per la ricerca sia per il trattamento (Shaffer et al., 2004).
Per un approfondimento:Couyoumdjian, A., Baiocco, R., Del Miglio, C. (2006). "Adolescenti e nuove dipendenze". Ed. Laterza.

lunedì 26 settembre 2011

UNITA' DI STRADA "VILLA MARAINI"

Lavoro di strada "outreach work" un termine che definisce specifiche finalità operative e
di approccio a chi "vive" sulla strada. Già negli anni '20 negli Stati Uniti furono attivate
 nelle varie realtà locali, delle iniziative sociali, con lo scopo di allacciare contatti significativi
 con bande giovanili.
Altra esperienza storica significativa si avuta in Olanda negli anni '70, dove gruppi di
consumatori di sostanze si attivarono come unità di strada (operatori) al fine di ridurre
la diffusione dell'epatite B. Soltanto alla fine degli anni '80 sull'esempio di quanto già
accadeva anche in altre città d'Europa quali Amsterdam, Berlino, Liverpool e con un
numero sempre maggiore di tossicomani non in trattamento, il sommerso ha motivato
alcune realtà locali ad attivare interventi mirati a questo target.
Questa filosofia di intervento quanto negli anni Villa Maraini ha sempre cercato
 di realizzare: offrire una opportunità di contatto, di socializzazione a persone
 che vivono una condizione di tossicodipendenza, che porti ad una riduzione
del rischio ed alla riscoperta di alternative alla vita di piazza.
Nel 1991 la Fondazione ha iniziato la fase preliminare per lo sviluppo di questa
nuova attività nel campo delle tossicodipendenze e della prevenzione dell'AIDS, ancora
 non realizzata nel circondario romano.
Dal 25 marzo 1992 Villa Maraini passata alla fase della realizzazione pratica del Progetto
con due poli operativi: una Unità Mobile di strada ed una Unità Fissa a bassa soglia.
Dal 1 agosto 1994 al 31 luglio 1996 questo servizio stato il punto di riferimento
 nel Progetto di Riduzione del Danno deliberato dalla Regione Lazio attraverso
 l'Osservatorio Epidemiologico Regionale collaborando con altri Enti Ausiliari attivi
sul campo specifico della tossicodipendenza.
Con il progetto "Unità di Strada", il Servizio che porta la sua accoglienza nei luoghi a rischio,
cio nelle piazze, ponendosi come punto di riferimento ed offrendo una gamma di interventi
anche a "chi non sa esprimere una domanda o non consapevole del bisogno".
La immediatezza e la semplicità del contatto a bassa soglia producono fiducia nelle
persone che vengono avvicinate, bilancio che si accresce anche grazie ai numerosi
interventi in situazione di overdose e di pronto soccorso che vengono effettuati.
L' equipe base, sempre presente al camper, costituita
da un medico, uno psicologo, tre operatori ex-tossicodipendenti
 (formati dopo un corso specifico), due volontari del soccorso della C.R.I.,
cercando sempre nuove soluzioni d'intervento, tendenti sempre a raggiungere
un maggiore numero di persone tossicodipendenti (TD) in difficoltà.
A questo scopo si sono formate le "Unità Itineranti", ovvero un gruppo di operatori
di base del Camper che in un lavoro di immersione nel territorio limitrofo dove opera
 l'Unità di Strada, riescono a raggiungere le zone più a rischio. Il target di riferimento
sono tossicodipendenti attivi, prostitute/i, TD omosessuali, tossicoalcolisti,
farmacodipendenti che usano eroina ed altro (cocaina, ecstasy. THC, LSD, benzodiazepine ecc.)
 giovani emarginati, stranieri che usano sostanze, giovani consumatori.

Automezzi impiegati:
della Croce Rossa sia con la sede dell'Unità di "Emergenza Droga" a Villa Maraini, per
le situazioni di emergenza.
In molti casi vengono usate le auto private del personale, per l'accompagnamento
ai servizi delle persone TD contattate

Unità Mobile Camper fornita di telefono cellulare (339/49.77.620) e auto di appoggio.
I mezzi sono dotati di radio trasmittente in continuo contatto sia con l'autoparco


L'unità di strada a Villa Maraini

QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA "Ciò che i genitori devono sapere"

"Mi occupo di dipendenze patologiche da diversi anni e nel corso del mio lavoro ho avuto modo di ascoltare storie sofferte, rivelazioni sconcertanti, idee deliranti ma qualche ringraziamento autentico e spontaneo ha reso improvvisamente leggero il peso della responsabilità che sono chiamato a sostenere. Ho imparato tanto e per fortuna sono ancora ignorante. Ho imparato che chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma vuole soffrire di meno, e che la droga per il tossicodipendente, come la cioccolata per la bulimica, non sono desideri ma bisogni, che a volte travalicano la forza di volontè e la logica del pensiero. Sviluppare nel corso degli anni una dipendenza patologica significa cercare di sopravvivere ad una minaccia più grande, che lo stesso "dipendente" avverte senza esserne del tutto consapevole."

                                                                                                                                      Federico Tonioni

sabato 10 settembre 2011

Dipendenza da Facebook: intervista al dott. Federico Tonioni

Il problema della dipendenza da internet è così reale che al Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma è nato a novembre 2009 un centro per la disintossicazione dal web e per la cura di tutti i disturbi relativi all’ “Internet Addiction Disorder”. L’obiettivo dell’ambulatorio, diretto dal dott. Federico Tonioni, è quello di contenere il malessere da astinenza dalla rete e offrire assistenza psicologica. Il protocollo di intervento è strutturato in tre passi: un colloquio iniziale per diagnosticare l’effettiva presenza di una dipendenza; incontri successivi per individuare la psicopatologia del paziente, con eventuale ricorso ad una terapia farmacologica; l’inserimento progressivo in gruppi di riabilitazione per stimolare il paziente a riattivare corretti rapporti interpersonali reali.


Abbiamo rivolto alcune domande al dott. Federico Tonioni.
Da novembre ad oggi, quanti sono stati i casi di persone che si sono rivolte al centro per disintossicarsi da Internet?
Il numero degli accessi dei pazienti nel nostro ambulatorio ha avuto un picco a ridosso della sua apertura e si va progressivamente stabilizzando.  Si sono delineati, come era nelle nostre aspettative, due livelli di intervento distinti, che hanno circoscritto due sottogruppi di pazienti con motivazioni e modalità di approccio sostanzialmente differenti. Il primo livello di intervento riguarda un gruppo di pazienti consapevoli di avere sviluppato un rapporto patologico con il web, molto variegato nella sua composizione per età (da 25 a 40 anni) e per sottogruppo di dipendenza (soprattutto sexual addiction, gioco d’azzardo e giochi di ruolo). La consapevolezza di aver sviluppato un disagio agevola in questo caso la relazione terapeutica e l’adesione alla terapia.
Un secondo livello, numericamente molto più ampio, riguarda un gruppo di giovani adolescenti (da 13 a 20 anni) accompagnati nella maggior parte dei casi dai loro genitori, fortemente preoccupati per una diminuzione netta della “performance” scolastica e della vita di relazione al di fuori dal web. Si tratta di ragazzi intelligenti e razionalmente più maturi di altri, tendenti all’isolamento e con evidenti alterazioni nell’ambito dell’emotività. Sono tutti dipendenti dai giochi di ruolo e non sono di facile accesso o perché inconsapevoli della propria situazione o perché oppositivi e diffidenti nei confronti di genitori e adulti dai quali non si sentono capiti e con i quali non hanno molto interesse a comunicare. Queste caratteristiche comportamentali tipiche dell’adolescenza sembrano in questi casi più radicate, innescando una profonda angoscia tra i genitori che non riescono a entrare in contatto con loro. Forse è questo il dato più evidente stimolante per ulteriori riflessioni: un livello di incomunicabilità tra generazioni diverse che appare già stabilmente strutturato e che potrebbe etizzarsi in nuove patologie o rappresentare una sorta di evoluzione del pensiero al di là delle categorie del “sano” o del “patologico”.
In media, a quale fascia d’età appartengono i pazienti dell’ambulatorio?
Circa il 90% sono adolescenti in età scolare (13-20 anni) di sesso maschile con una dipendenza patologica dai giochi di ruolo “web mediati”, l’altro 10% comprende i rimanenti casi sopradescritti. Tante sono state le domande telefoniche a cui abbiamo risposto, provenienti da genitori molto angosciati e impotenti di fronte alla tendenza progressivamente crescente dei propri figli a trascorrere davanti al computer tutto il tempo possibile. Forse avrebbero bisogno di aiuto anche loro.
Quanto dura il percorso di recupero dalla dipendenza?
Non esiste una durata standard nel percorso riabilitativo degli internet addiction. La risoluzione in certi casi può essere rapida perché è l’adolescente stesso ad essere in trasformazione e quindi presenta un terreno particolarmente fertile per cambiamenti anche rapidi. Se però sottostante alla dipendenza c’è una struttura mentale deficitaria con tratti psicopatologici pre-esistenti all’uso di internet inevitabilmente i tempi si allungano.
Quali sono le regole da seguire per evitare una recidiva?
Non ci sono regole comportamentali da seguire per non ricadere. La ricaduta a volte è inevitabile e non è una tragedia. Anzi se è il paziente ad accorgersene e a tornare spontaneamente  indica un’evoluzione. Chi si occupa di dipendenze patologiche è abituato a lavorare tra le ricadute cogliendone il valore processuale. Una volta modificata la struttura sottostante non si ricade più. Per fare questo ci vogliono tempi che variano da caso a caso.
Per chi volesse entrare in contatto con l’ambulatorio del dott. Tonioni, è possibile prenotare un appuntamento al numero 0630154332-4122. L’ambulatorio è aperto dal lunedì al venerdì dalle 0re 9.30 alle ore 13.30.

INTERVISTA A FEDERICO TONIONI, DOTTORE CHE CURA LA DIPENDENZA DA INTERNET

Federico Tonioni è uno psichiatra e responsabile del primo ambulatorio ospedaliero che cura la dipendenza da Internet

Negli Stati Uniti e in Cina le dipendenze da Internet (Internet addiction disorder) sono curate in cliniche specifiche , da anni. In Italia il fenomeno sembrava sottovalutato. Poi è arrivato il suo ambulatorio.
“E ‘ il primo ambulatorio ospedaliero , all’interno di una struttura pubblica , dove si paga solo il ticket. Anni fa erano nate delle strutture private con scarso successo. Lo abbiamo inaugurato il 2 novembre, ma è nato dopo due anni di lunghe riflessioni nella mia testa
E’ da molto che si occupa di queste tematiche?
“Da sempre mi occupo di tossicodipendenze, soprattutto relative alle nuove droghe e al nuovo modo di drogarsi. In quindici anni di lavoro ho capito quanto le due cose fossero correlate , così ho pensato di aprire uno spazio dedicato alle dipendenze da internet”
Da quale intuizione è partito?
“Intanto ho distinto tra dipendenze sane e dipendenze patologiche. E’ più dipendente quel fumatore che non riesce ad andare a letto senza il pacchetto sul comodino , e magari fuma solo 5 sigarette al giorno , rispetto a uno che ne fuma 15 ma non ha questo problema. Più che la quantità è l’investimento mentale che si fa sull’oggetto della dipendenza. Il problema non è legato alle nuove sostanze che si assumono (ketamina, ecstasy..) o al fatto che si usi il web. Siamo di fronte a un nuovo modo di drogarsi , strettamente connesso agli Internet disorder
Nuovo modo di drogarsi?
“Sì , il poliabuso. Si prende tutto insieme nel tentativo di bilanciare gli effetti collaterali. Il tutto in una corsa forsennata a collassare in breve tempo. Tutto perché vogliamo perdere il controllo: viviamo , infatti, in una società ipercontrollata. Satelliti, Google, telecamere, intercettazioni..”

E Internet?
“In questo caso non è lo strumento il problema, ma l’uso. Internet è una opportunità essenziale per l’evoluzione del pensiero umano. Però le relazioni telematiche per loro natura favoriscono la possibilità di controllare gli altri , di essere in più posti contemporaneamente , di non avere una percezione reale del tempo : ci si dissocia dalla realtà. E in una persona con tratti morbosi il gioco è presto fatto”
Il web fa solo emergere qualcosa di latente?
“Non è Internet che li ha fatti ammalare. Sono tutti pazienti con delle personalità schizoidi, che tendono all’isolamento. Hanno difficoltà nella comunicazione non verbale, non reggono un rossore. Hanno difficoltà a guardarti negli occhi. Con Internet hai delle sensazioni ma non ti puoi emozionare e puoi nascondere il linguaggio del corpo attraverso uno schermo. Si arrossisce perché non si ha il controllo dell’altro. Il rossore ci mette a nudo”
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Nella rete invece siamo noi a controllare..
“Certo. Queste persone tendono a rifugiarsi nel web, dove per definizione tutti i rapporti sono facilmente controllabili. Tuttavia perdono le loro emozioni : le cose che li rendono umani”

Quando diventa patologia?
“Come per le sigarette non conta la quantità. Il problema nasce quando la persona dopo essersi disconnessa nella sua mente continua a pensare a quello che succede nella rete. In un gioco di ruolo , su un social network.”
Che tipo di pazienti avete in cura?
“Abbiamo visto tanti giovani , ma è una patologia trasversale. Per questo tipo di colloqui mi sono contornato di specializzandi molti giovani che lavorano su Internet , studiano i Social Network. Vengono da noi soprattutto i maschi : ma siamo ancora agli inizi e quindi non posso fare delle stime precise. Comunque abbiamo parecchie richieste”
Che difficoltà si incontrano?
“E’ molto difficile incontrarli dal vivo. Sono tutte persone con problemi pregressi e Internet spesso diventa una soluzione alternativa alla droga. Non si drogano , ma stanno 15 ore davanti al Computer. Continuano a lavorare su quella cosa. Si chiudono. E progressivamente tendono a creare un mondo autistico. Intimo e privato. Dove esiste solo la loro immagine ideale. Così però si allontanano dal loro vero essere”
Quali sono le cure?
“Negli Usa i pazienti sono obbligati a curare una gallina: un animale ipercinetico. Diverso dal computer che è immobile. In Cina sono picchiati , ci sono stati anche due morti. In Olanda li portano a passeggiare nella natura”
E voi?
“Prima facciamo un colloquio per vedere se c’è una patologia pregressa: depressione, schizofrenia. In quel caso non possiamo togliergli9 Internet. Per loro è una medicina temporanea. Poi li curiamo inserendoli

Estratto dell’intervento di Loris Adauto al 14° Convegno nazionale di Counseling relazionale, sull’Umanità del Counselor (Tolentino febbraio 2009).

Loris, racconta di come tra le onde del mare nostrum, dopo un naufragio esistenziale, sia riuscito a dar senso alla sua vita.


- Adauto, sei un counselor, ma più che altro ti definiscono un maestro di umanità. Qual è il segreto di questa tua umanità?
Personalmente penso di non aver trovato la mia umanità, se non nel fatto che forse può essere l’autenticità. La mia autenticità è nella mia imperfezione. È possibile che diventando più vecchio forse troverò qualcosa di cos’è l’umanità. Per adesso ho trovato che sono imperfetto e posso essere umano nel momento in cui vivo autenticamente questa imperfezione. Insegno la via dell’imperfezione, perché non so fare altro. Si dice che quando non sai fare altro insegni, no?

- Cosa insegni nel tuo counseling umanistico?
Raccontare è la forma più antica e forse l’unica forma di terapia che esiste. Si è sempre raccontata la storia intorno ai fuochi, danzando, cantando, interpretandola e questa era la terapia. La terapia è quindi data dall’ascolto della storia, ma al giorno d’oggi non si ascolta più, per cui non si può narrare… La storia adesso è diventata cronaca. Siamo diventati dei gran raccontatori di storielle ma abbiamo perso la nostra storia, perché abbiamo perso chi la ascolta. Nel counseling che insegno “narrare ed ascoltare” significa cercare di scoprire nella grande storia, che è ognuna delle vite che incontro, qual è il mito che la anima e le dà senso. Non si trova il mito nella cronaca. Il mio maestro mi ha insegnato che bisogna rovesciare il tappeto e guardare la trama per capire qual è il mito e quindi il senso della storia.
- Qual è il mito della tua storia personale?
Il mito che ho scoperto nella mia storia è quello del naufragio. È il nostos, il mito del ritorno, il viaggio di Ulisse. Il mio viaggio comincia subito dall’inizio con un naufragio, con il rifiuto della vocazione. Io credo che a parte i normali traumi che abbiamo subito tutti dalla madre, dal padre e dalla famiglia, il vero dramma è quando sentiamo la chiamata e rispondiamo “no”! 
A me è successo così. La Vocatio si è fatta sentire nello stesso momento in cui si facevano sentire gli ormoni, per cui alla Vocatio ho preferito l’eiaculatio. Mi sono perso perché da quel momento in poi ho cominciato a seguire qualcosa che era al di fuori di me e non la mia voce interiore. La vocazione si basa sui talenti che abbiamo dalla nascita; rifiutando la vocazione, si rifiutano i talenti… e si finisce nell’inferno, come racconta la parabola. 
L’inferno in cui sono finito io era la dipendenza, e non per niente mi sono specializzato in dipendenze, perché non “fai il counselor” ma “sei un counselor”. La dipendenza si definisce come lo spostamento del centro al di fuori di sé. L’ideologia che ho seguito mi chiamava fuori da me e il mio benessere dipendeva da qualcosa che non ero io, fino ad appoggiarmi a sostanze, ideologie, innamoramenti, che sono la dipendenza più pericolosa di tutte. Quando ho incontrato la Logoterapia ho scoperto che avevo perso il senso. Il senso si smarrisce quando si perde il contatto con la voce interiore: da quel punto in poi non si ha più una guida. Il mio naufragio è iniziato nel momento in cui ho rifiutato il senso e come fanno in tanti, anch’ io ho cercato “cose” per riempire il vuoto. Ho trovato l’antisenso, la dipendenza.
- Come si trova il senso della propria vita?
Crisi è un ideogramma cinese che si scrive con 2 glifi: uno vuol dire ”sfiga” più o meno, l’altro vuol dire “opportunità”. Arrivai al culmine della sfiga ed iniziò l’opportunità. Ulisse si trova a bagnomaria nel Mediterraneo, ha perso tutto, i compagni, i tesori che aveva rubato e si trova attaccato ad una trave in mezzo al mare. A quel punto invoca la dea, la sua voce interiore, qualcuno che è al di sopra del suo Ego e che pian piano lo porta a casa. Il culmine del nostos è la crisi, e l’opportunità arriva quando lasciamo la nostra superbia per cercare qualcuno che ci riporta a casa. Io ho trovato un logoterapeuta, il mio maestro, un filosofo che mi ha insegnato tutto quello che so di logoterapia semplicemente mostrandomi com’era lui. La cosa più eccezionale che ho imparato da lui è che il senso esiste e che non ero un pazzo; ero una persona alla ricerca di un senso. 
Il mio ritrovarmi è iniziato in Amnesty International ed in particolare nel corso della campagna per la liberazione di un prigioniero argentino. Quella persona ad un certo punto fu liberata dal carcere argentino, ed io ebbi una visone: vidi lui che usciva dal carcere e sua moglie e suo figlio che lo aspettavano fuori. Li è iniziata la mia conversione, in quel momento ho visto un mondo che si salvava e il mio progetto è diventato: “ne tiro fuori uno, me ne basta uno”. 
Con questo vocazione ho cominciato a lavorare in una comunità terapeutica. Non più con l’ideologismo di cambiare un mondo ingiusto, ma con la convinzione di poter aiutare un uomo alla volta, un mondo alla volta. L’incontro con i tossici è stato stupefacente perché mi hanno insegnato l’auto aiuto, il confronto, la condivisione e l’autenticità. In comunità lavori come modello e ti assumi il rischio di mostrare agli altri chi sei. 
La vera crisi che è arrivata a 50 anni. Dio, voi chiamatelo come volete, improvvisamente mi ha tolto tutto. Mi ha tolto la moglie, il figlio, la casa, mi ha tolto il maestro, mi ha tolto il padre e anche la pizzeria dove andavo a ubriacarmi: un disastro. Li ho capito che quello era il vero momento in cui io ero a mollo nel Mediterraneo. Ho capito anche la differenza che c’è tra Ulisse e il Figlio prodigo: Ulisse è tornato a casa dell’Ego, il figliol prodigo è tornato a casa del padre, che è il Sé. L’Ego che torna al Sé, completamente arreso alla voce interna, che per un logoterapeuta è l’orientamento alla costellazione dei valori. Da quel punto in poi ho fatto un patto con Dio e ho detto: “Ok, io mi occupo di seguire quello che vuoi tu, tu mi dai tutto il resto, quello che mi serve”. Ho preso sul serio la parabola degli uccelli e dei gigli, e abbiamo fatto proprio un contratto: “io faccio quello che tu vuoi, poi tu mi dai la grana, perché non posso fare le due cose insieme”. Vi assicuro che funziona se siamo in grado di seguire la voce del senso. Il senso è assolutamente in grado di provvedere a noi e questa è la novità di questa crisi. La crisi serve a farci recuperare l’essenza dell’amore.