venerdì 2 dicembre 2011

LA RELAZIONE D' AIUTO IN STRADA

La relazione in strada ha la caratteristicadi una “relazione a legame debole”;
è occasionale, non prevede di per sé alcuna continuità, alcun patto terapeutico,
è un’opportunità che può essere utilizzata o ignorata.
È proprio dalla scelta autonoma di aderire al contatto che deriva la significatività
intrinseca di un eventuale incontro.
L’utente, l’altro, assume il ruolo di soggetto attivo, definisce se stesso, cercando
il contatto: afferma la propria esistenza; analogamente l’operatore propone se stesso.
Lo scambio comunicativo in atto si connota come uno scambio intersoggettivo:
presenza e riconoscimento di due soggetti, di due persone nella loro
globalità. Nel frammento relazionale, entrambi i soggetti mettono in gioco
la totalità della loro persona; al di là del contenuto dello scambio comunicativo,
ciascuno dei due soggetti afferma la propria esistenza ed esiste in quel
determinato modo per l’altro; è se stesso con la sua storia; è quindi possibile
cogliere nel contatto relazionale breve e fragile quella specifica presenza umana
nel suo soggettivo modo di essere nel mondo, nel “qui e ora” della situazione.
Approccio fenomenologico dunque che attraverso una conoscenza intuitiva
e immediata consente l’incontro di due soggetti nella loro globalità; consente
di valorizzare il frammento relazionale per incontrare la totalità della
persona, per “cogliere l’essenza attraverso una presa di coscienza immediata” (Binswanger, 1990).
L’approccio fenomenologico si coniuga con la filosofia della Riduzione del danno ridefinendo
la relazione di aiuto, operatore/utente, come una relazione intersoggettiva propria delle okness.
Tipico delle psicoterapie umanistiche, secondo cui l’altro, il tossicodipendente, è riconosciuto
come persona rispetto alle sue esigenze; si dà fiducia al suo modo di vedere la realtà.
Tale visione positiva della persona e delle sue risorse sottolinea un approccio profondamente etico che richiama la teoria berniana dell’ “il paziente possiede una pulsione innata verso la salute, sia in senso mentale che fisico” (Berne, 1966).
In tale ottica, la relazione di aiuto si connota come atteggiamento consulenziale
che non impone scelte e modelli, ma è finalizzato a sviluppare consapevolezza, a riconoscere e potenziare risorse, e competenze presenti; atteggiamento consulenziale per facilitare scelte autonome, per recuperare il senso degli eventi; ancora dunque atteggiamento etico finalizzato a promuovere autonomia di pensiero e di azione; protagonismo anziché adattamento.
La relazione di aiuto nell’incontro in strada come occasione di attivare e
sperimentare una relazione intersoggettiva attorno a un
evitare rischi (buco pulito, sesso sicuro, overdose), prendersi cura
della propria salute, della propria vita; l’attenzione sul contenuto, ma soprattutto
sul processo: sul come si attua lo scambio relazionale.
L’incontro in strada breve, apparentemente povero e riduttivo, costituisce
un’esperienza relazionale forte, di riconoscimento reciproco, di riconoscimento
“dell’altro”, delle sue risorse e competenze; un’esperienza relazionale
correttiva rispetto a esperienze precedenti “di dipendenza”, di adattamento
o ribellione, a esperienze a volte antiche, a volte recenti e ripetitive
con i servizi, le istituzioni, con il mondo in generale.
Il contatto operatore/utente in strada può costituire un’esperienza relazionale
nuova, non assistenziale, un’esperienza significativa per percepire
una diversa immagine del sé, per sperimentare un diverso modo di essere nel mondo.
In tal senso, occorre mantenere una chiarezza metodologica negli interventi
dell’Unità di strada per salvaguardare la significatività della relazione operatore/utente.
L’Unità di strada è “un esserci” sulla strada, posizionarsi rispetto
a una specifica area di utenza. Il posizionamento esplicito su prevenzione Hiv, quindi su salute e vita, garantisce la possibilità di una relazione significativa
anche se “a legame debole”; definisce e struttura il
entrambi i soggetti da aspettative magiche e da svalutazioni infinite.

Parte prima "Il ruolo del counsellor in un mondo in rapida trasformazione" del Prof. Pio Scillogo

Siamo tutti cittadini planetari testimoni di trasformazioni che annullano tradizio-ni, sradicano valori, sconvolgono strategie di sopravvivenza, robotizzano la persona.
Il counsellor affronta questa realtà e diventa mediatore di significato e di diritto, guida nell’intercettare l’oppressione del potere economico e corporativistico dei pochi e guida nel promuovere la giustizia e lo fa non dalla prospettiva di ristrutturare la persona-lità, ma guardando all’orizzionte dell’oppressione che viene dall’esterno della persona, da un contesto che viola il diritto di vivere umanamente e nei confronti del quale si pone in termini di assertiva dignità.
Come cittadini planetari assistiamo alla graduale scomparsa dei confini geografi-ci, che non contengono più le culture e i popoli: la facilità degli spostamenti interconti-nentali permettono una osmosi contro cui poco valgono gli sbarramenti fisici agli aero-porti, alle stazioni ferroviarie di confine e ai porti di mare. Ma al di là degli spostamenti fisici siamo attori in una vasta rete di comunicazione planetaria mediata dai telefonini, da internet, dalla televisione satellitare, che sono ben più potenti degli uccelli migratori che si possono non abbattere con la caccia e di altri volatili che si possono isolare.
Di fronte a livelli così estesi di innovazione e di caduta di confini che prima modula-vano i ritmi di cambiamento, occorrono nuove competenze, nuovi saper fare, nuove ca-pacità assertive per progettare, scegliere obiettivi, scoprire processi, aprire orizzonti e inventare confini di contenimento. Si tratta di competenze che potenziano la libertà re-sponsabile. Essa non ha come caratteristica il mettersi sulla difensiva, ma di affrontare le nuove sfide in posizione di attacco. La libertà responsabile non cerca di arretrare gli stili di vita di qualche secolo per conservarli imbalsamati, ma crea nuove soluzioni sulle radici di quanto è già stato inventato, scoperto e conquistato.
Il counsellor è un mediatore che aiuta a inventare, scoprire e mettere a punto strumenti di ricca gestione dei contesti di vita nel processo di continua trasformazione del mondo che circonda la persona.
In tale contesto ci sono alcuni ambiti privilegiati verso i quali il counselling si muove a livello internazionale.
Diverse forze hanno contribuito allo sviluppo e alla differenziazione interna del counselling. Tra esse hanno assunto particolare importanza le trasformazioni culturali alle quali è stato accennato, gli interventi legislativi per la psicoterapia, gli sradicamenti dovuti a guerre e disastri naturali, le transizioni di vita e le nuove acculturazioni (transi-zioni scolastiche, le transizioni dalla coppia alla famiglia, dall’adolescenza alla vita a-dulta, dall’università all’inserimento nelle forze di lavoro, dalla vita di single alla vita di coppia, dalla vita di coppia alla separazione, dalla vita di lavoro al pensionamen-to);hanno assuntoimportanza le nuove visibilità di gruppi minoritari quali le donne, gli anziani, i disabili, i bambini e gli adolescenti, l’afflusso di immigrati e le migrazioni all’interno dei paesi, le ricerche che hanno evidenziato la consistenza della presenza di gruppi ad orientamento sessuale non tradizionale come i gay, le lesbiche e i transessua-li; l’impatto delle guerre, della violenza organizzata, delle epidemie, come l’AIDS, che minano alla base intiere popolazioni ed economie.
Tutte queste condizioni richiedono guida e informazioni per l’inserimento nella vita, strutturazione della realtà esterna, reperimento e coordinamento di risorse, invii ad agenzie, istituzioni, professionisti specializzati. In quasi tutte le circostanze è necessario un lavoro di collaborazione di gruppo tra diverse professionalità: psicoterapeuti, medici, avvocati, assistenti sociali e quanto altro.
In tutti i contesti il counsellor ha bisogno di competenze comunicative, capacità gestire le fonti di informazione nel mondo di oggi (internet, telefonini, televisione, ecc…). Il counsellor applica tali competenze nell’affrontare i diritti e doveri nelle situa-zioni di lavoro, nell’inserimento culturale dei migranti, nazionali e continentali, la vio-lenza individuale e di gruppo (mobbing, abuso infantile, delinquenza minorile), Questi sono gli ambiti emergenti nei quali il counsellor si ferra per esercitare la sua professio-nalità senza invadere il campo riservato allo psicologo e allo psicoterapeuta.
In molte situazioni vengono dallo psicoterapeuta persone che di fatto hanno bisogno del counsellor, perché le difficoltà che portano non derivano da una particolare condi-zione psicologica della persona, ma dalle circostanze nelle quali essa vive e la difficoltà sta nelle strategie operative anziché nella condizione psicologica del cliente. Talora la persona ha gli ingredienti necessari per affrontare le difficoltà incombenti, ma non sa coordinarle, perché è difficile dipanare le complessità di un contesto nuovo difficile an-che per le persone in ottime condizioni psicologiche.
Venne un giorno una persona depressa e indispettita perché tutti i giorni doveva prendere una medicina a causa di carenze di iodio e sapeva che era una condizione che sarebbe durata tutta la vita. Voleva fare un’ora di terapia, ma le fu chiesto: senta, l’altro ieri ha fatto colazione? Sì. E ieri, anche ieri ha fatto colazione? Sì. Allora suppongo che l’avrà fatta anche oggi. Rispose: Sì, ma non capisco. Risposi,comprendo…e domani pensa che farà nuovamente colazione? Suppongo di sì. Allora sorridendo aggiunsi: Ma non si è ancora stancata di fare colazione? A quel punto la persona, che era molto acuta, rispose: ho capito, ma certo è una nuova colazione. Vero risposi e le augurai una buona continuazione delle sue colazioni con una piccola aggiunta, visto che non aveva inten-zione di smetterle. Probabilmente pochi sararanno tentati di dire che ho fatto quattro minuti di terapia. Certo, ho chiesto alla persona di riflettere su un fatto esterno che en-trava nell’organizzazione della sua vita, finché lei stessa scoprì che un ingrediente nuo-vo nella colazione, molto più piccolo di una fetta di pane in più da preparare, non le stravolgeva la sua abitudine ripetitiva e gratificante di fare colazione; valevala pena far-lo per mantenersi in buona salute.
Per prendere un esempio dal counselling pastorale, un giorno venne una donna che era in un gruppo abbastanza settario perché aveva un conduttore che indottrinava sulla nullità della persona. Il problema per lei era che era nessuno, che era una schifezza. Le chiesi: ma lei è battezzata? Sì. Allora sei figlia di Dio. Una figlia di Dio libera. Sì, sì, certo. Dissi: è’ bello non solo essere considerati figli, ma essere davvero figli di Dio. Certo che è bello. Allora le figlie di Dio sono schifezze? Rimase perplessa e io aggiun-si: sei davvero figlia di Dio, altrochè schifezza. Abbozzò un sorriso.
Qualcuno chiama questo psicoterapia, io lo chiamo, in questo contesto, un piccolo esempio di counselling pastorale.
Alle volte le persone devono proprio imparare a guardarsi attorno, anche a guardarsi un pochetto dentro, perché il dentro conscio è un tipo di contesto. Ho lasciato allo psico-logo il lavoro ulteriore della donna di cui ho parlato, perché conclusi che era andata a cercare un gruppo che la confermava nella sua schiavitù ai normativi eccessivi subiti e ciò facilmente è un segno di patologia che va gestita dallo psicologo..

Genetica e tossicodipendenza in breve

Perché alcune persone diventano dipendenti da una o più sostanze mentre altre non lo fanno?
Studi sui gemelli fanno ritenere che oltre il 50% della responsabilità di tale differenza possa risiedere in fattori genetici. Riconoscere questi fattori di rischio appare, quindi, di grande rilevanza sia in termini di comprensione dei fenomeni biologici che sostengono questi comportamenti sia per sviluppare farmaci che possano interferire con i meccanismi molecolari, per prevenire o curare le dipendenze.
La maggior parte degli studi sono stati effettuati per l’alcolismo
ma influenza genetica è stata dimostrata anche per la suscettibilità
alla dipendenza da tabacco, oppioidi, cannabis e altri farmaci psicoattivi.
Dagli studi di genetica classica (famiglie, gemelli), più recentemente si è passati ad evidenze di genetica molecolare.
Si ritiene che la genetica delle dipendenze vada inclusa nel capitolo dell’eredità multifattoriale e poligenica: un meccanismo di interazione di fattori genetici, magari per la suscettibilità data da certo numero di geni, ciascuno con un piccolo effetto (poligenica), e di fattori ambientali.
In questo ambito, l’interesse si è focalizzato maggiormente sui polimorfismi di vari recettori del sistema nervoso centrale. Non si parla di genetica mendeliana classica, in cui mutazioni ad un singolo gene condizionano l’emergere, pur con variabilità e espressività differenti, di quadri patologici definiti.
Nell’ambito della genetica multifattoriale abbiamo, piuttosto, a che fare con variabili genetiche normalmente presenti nella popolazione (polimorfismi),
Ne deriva, che, anche se cominciano a chiarirsi i meccanismi genetici,
 Cenni di tratti complessi e variabilità
Nel DNA umano sono presenti circa 30.000 geni, in doppia copia (paterna e materna): tutti o quasi tutti, in genere, funzionali, ma spesso con differenze che, per quanto piccole, possono comportano lievi variazioni nella loro struttura o nella loro regolazione. Non parliamo di variazioni (mutazioni) francamente patogenetiche ma di leggere differenze, di per se assolutamente tollerabili, presenti in percentuali variabili nelle popolazioni umane normali, note come polimorfismi genetici.
Ogni singola variazione, infatti, di per se non produce effetti rilevabili. Un effetto maggiore, eventualmente, può essere esercitato dalla combinazione di polimorfismi di molti geni.
La presenza di polimorfismi all'interno della popolazione "normale" è alla base delle differenze
osservate nei tratti complessi tra individui e popolazioni differenti (peso, altezza, pressione arteriosa, comportamenti etc.).
Questa componente di variabilità geneticamente determinata, da un lato, può influenzare la capacità ed il modo che ogni singolo individuo possiede nell’affrontare gli stimoli che provengono dall’esterno (fisici, chimici, etc.), dall’altro, integrandosi con la componente di variabilità ambientale, realizza diversità evidenti e, spesso, misurabili, in tratti e caratteri riconoscibili.
Molte di queste differenze, quindi, incluse le differenti risposte all’assunzione di farmaci e sostanze, vedono nella variabilità genetica un elemento di rilievo, per quanto non unico.
In questo senso, fattori genetici insieme a fattori ambientali
possono infatti influenzare la suscettibilità alle dipendenze.
Ereditarietà di una dipendenza
La maggior parte degli studi che hanno condotto a queste conclusioni sono stati effettuati per l’alcolismo, tuttavia, un’influenza genetica è stata dimostrata anche per quanto riguarda la suscettibilità alle dipendenze da tabacco, oppioidi, cannabis, stimolanti e altri farmaci psicoattivi. Evidenze in questo senso sono emerse sia da studi di genetica classica, attraverso analisi di famiglie e di gemelli, sia da più recenti evidenze di genetica molecolare. Studi sulla dipendenza da alcol, tabacco ed altre sostanze, suggeriscono
che i fattori genetici possano contribuire tra il 25% ed il 60% (coefficiente
di ereditarietà di un tratto) nel sostenerle.
E’ noto, infatti, come l’alcolismo possa essere riscontrato come tratto familiare, con ben caratterizzati fattori genetici di suscettibilità che prescindono dall’influenza ambientale.
Studi condotti su figli adottivi hanno infatti documentato una maggior incidenza di alcolismo in soggetti i cui genitori biologici erano alcolisti (mentre non lo erano i genitori adottivi) rispetto a soggetti i cui genitori adottivi erano alcolisti (ma non lo erano i genitori biologici).
Si ritiene che la genetica possa contribuire all’alcolismo per circa il 50% nei maschi e 25% nelle
femmine (Reich T et al. 1998).
Lo stesso si può dire per la dipendenza dal fumo: la stima corrente pone il peso relativo della genetica intorno al 28-84% dei fattori che contribuiscono a promuovere e/o mantenere questo comportamento (Hamilton AS et al. 2006).
La nicotina attua i suoi effetti tramite legame con specifici recettori presenti nel sistema nervoso centrale (nAChRs): l’impatto di questo legame con alcuni sistemi di neurotrasmissione (dopamina, serotonina, GABA) ed i geni che codificano per gli elementi che mediano la neurotrasmissione sono all’attenzione dei ricercatori.
Si parla del 45%, invece, come possibile coefficiente di ereditarietà nella suscettibilità al consumo e/o dipendenza da varie sostanze, inclusi la cannabinoidi, oppiacei, stimolanti, sedativi e psichedelici.
Infine, la stessa tossicità delle diverse sostanze non è uguale in individui differenti.
Fattori genetici influenzano la differente suscettibilità ai danni epatici nel caso dell’alcol così come un differente ambiente genetico condiziona la maggiore o minore probabilità di insorgenza di tumori nei fumatori. Lo stesso sembra succedere con l’assunzione di farmaci psicoattivi, con la maggiore o minore suscettibilità individuale ad effetti tossici dopo somministrazione.
Più recentemente, tecniche di linkage ed associazione genetica, hanno permesso di identificare
alcune regioni del genoma che sembrano maggiormente implicate in queste predisposizioni, sottolineando come le dipendenze siano comportamenti complessi, influenzati sia dall’ambiente che dai geni, con partecipazione di più geni alla suscettibilità, complessivamente con effetti additivi non trascurabili, pur con modesto contributo individuale delle singole variazioni. La genetica di un individuo influenza l’attività dei farmaci, incluso il rischio di dipendenza.
La neurotrasmissione
Dati sperimentali suggeriscono che assetti genetici particolari, relativi all’espressione di molecole attive nelle aree cerebrali coinvolte nei processi motivazionali, possono essere responsabili di varie forme di dipendenza. Tra questi, e a titolo di esempio, uno dei sistemi che ha ricevuto maggiore attenzione nello studio dei comportamenti patologici è il sistema dopaminergico della neurotrasmissione.
La dopamina, infatti, implicata nei circuiti di ricompensa, e agendo attraverso recettori, provoca il rilascio della serotonina che a sua volta stimola le encefaline a livello ipotalamico. Una forma polimorfica (un allele) del gene che codifica per il recettore DRD2 della dopamina (allele A1) sembra associata a ridotta efficienza di questo sistema, una condizione a sua volta associata ad alcolismo e tabagismo.
Si ritiene quindi che gli individui che portano questo allele possano risultare predisposti all’assunzione di sostanze psicoattive, perché maggiormente vulnerabili di fronte ad eventi stressanti a causa di un sistema di gratificazione deficitario che tentano di compensare forzando il tono dopaminergico, introducendo sostanze che stimolano il rilascio di dopamina (Cohen et al., 2007).
Si tratta di meccanismi molecolari che vengono valorizzati nel tentativo di spiegare le basi biologiche
dei comportamenti di abuso per alcol, nicotina o sostanze psicoattive, ma che correlano con forme di dipendenza anche molto diverse, come il gioco patologico (gambling) che si ritiene abbia una componente genetica intorno al 14-46% (Eisen et al., 2001);
 L’epigenetica
L’assunzione continuativa di sostanze psicoattive si associa ad adattamenti dei meccanismi cellulari, a loro volta imputabili a cambiamenti nell’espressione di centinaia di geni, con differenze tra tessuto e tessuto o, addirittura, nel caso del cervello, da regione a regione. Si ritiene che alcuni di questi cambiamenti possano essere alla base dell’instaurazione della tolleranza e della dipendenza, interferendo con i normali meccanismi di apprendimento e memoria.
Recenti ricerche, condotte su ratti assuefatti alla cocaina, rivelano che il desiderio di assumerla dipende dall'attivazione dell'enzima ERK (signal-regulated kinase) e che, in caso di astinenza, l'inibizione dell'ERK permetta di 'cancellare' questa dipendenza. (Lu L. et al. 2005). Si ipotizza che anche nell'uomo il coinvolgimento di ERK, che controlla i processi di memorizzazione, possa rendere difficile "dimenticare" la cocaina attraverso alterazioni della neuroplasticità e della interconnessività sinaptica e, come tale, possa essere coinvolta anche in altre dipendenze, come quelle alimentari. Diversi studi indicano inoltre, che, dopo la disintossicazione, la dipendenza psicologica dalla cocaina tenda ad aumentare con il passare del tempo. La proteina ERK potrebbe giocare un ruolo in questo circuito perché sembra responsabile della memorizzazione di elementi associati ad una vicenda, e potrebbe rafforzare la capacità condizionante di elementi ambientali che rimandano all’esperienza dell’assunzione del farmaco come stato di soddisfazione.
In questo ambito, più che di genetica in senso stretto, si parla di epigenetica (epi = circa + genetica), la scienza che si occupa cioè dei meccanismi che modificano o modulano in modo più o meno stabile il prodotto dei geni
In accordo, le ricerche più recenti suggeriscono che l’assunzione continuativa di farmaci psicoattivi
senza mutare il DNA di per sè. possa riscrivere l’epigenetica delle cellule del cervello, rimodulando i circuiti di apprendimento e memoria a lungo termine, alterando l’espressione dei geni e, in ultima istanza, producendo risposte comportamentali correlate (la dipendenza). Questa attività di rimodulazione dell’espressione genica sembra si possa produrre attraverso alterazioni di struttura della cromatina (chromatin remodeling), ad esempio, attraverso l’attivazione del gene Delta-FosB che a sua volta attiva enzimi che provocano l’acetilazione di proteine associate al DNA (istoni).
un quadro che lega insieme squilibri del principale sistema biologico della gratificazione con alterazioni della soglia del piacere e della analgesia a suscettibilità alle dipendenze prese, nel loro complesso, come comportamento.
che, singolarmente, diventano fattori di rischio quando coesistono con fattori ambientali predisponenti (cultura, collocazione ambientale e familiare, disponibilità della sostanza etc.) e/o per co-presenza di altri, differenti, fattori biologici di suscettibilità (altre variabili genetiche di suscettibilità, stato di salute psicofisica, etc.). le dipendenze non sono ereditabili in senso stretto né è possibile predire il rischio di ereditare la suscettibilità. Allo stato attuale, riteniamo che è possibile ereditare una predisposizione e che questa può essere legata a variabili genetiche di strutture implicate nella neurotrasmissione.

martedì 18 ottobre 2011

Antonella Lattanzi, ecco l'erede di Roberto Saviano

Lunedì, 12 aprile 2010 - 13:30:00

di Antonio Prudenzano
devozione
LA COPERTINA

"Devozione",
 
dilaniante romanzo-reportage dell'esordiente 30enne Antonella Lattanzi (laurea in lettere moderne, oggi collabora con varie case editrici in veste di traduttrice, editor e correttrice di bozze), ha il merito di raccontare un inferno invisibile ai nostri occhi accecati e corrotti dalla superficialità:
quello dei "nuovi" tossici (le overdose sono in diminuzione, ma le epatiti C sono in drammatico aumento...). Sì perché la droga in Italia non si è mai data alla fuga. Al contrario, di anno in anno ha allargato i suoi orizzonti e scoperto nuovi target (dai pre-adolescenti ai manager). "Devozione" racconta il ritorno (quantomeno mediatico) dell'eroina ("In realtà mai scomparsa", ci ha spiegato l'autrice) e la diffusione delle nuove sostanze stupefacenti. Lo fa dall'interno di un limbo di giovani alla disperata ricerca della felicità, meta irraggiungibile, in un viaggio conturbante al termine dell'autodistruzione, che ha tre protagonisti principali (Nikita e Pablo, coppia di eroinomani, e Annette, bambolina francese vittima di un assurdo tentativo di rapimento), e una serie di comparse incapaci di liberarsi dalla dipendenza. Come Roberto Saviano, Antonella Lattanzi per scrivere il suo libro ha prima vissuto sulla propria pelle la realtà drammatica che ha poi messo su carta. Nell'intervista rilasciata ad Affaritaliani.it, l'autrice ammette di aver adottato lo stesso metodo e lo stesso approccio alla scrittura dell'autore di "Gomorra", di certo il meno comodo, e parla di quella che definisce una personale "fascinazione" per l'eroina, scoperta da ragazzina a Bari a metà anni '90...
antonella lattanzi einaudi devozione
Antonella Lattanzi

Per scrivere "Devozioni" ha frequentato per anni i Sert (fingendosi tossica), i punti di ritrovo dei drogati del terzo millennio, le piazze dello spaccio, le comunità, in un inevitabile processo di immedesimazione con i giovani protagonisti del suo libro. Cosa l'ha spinto a farlo?

"La verità è che ho sempre voluto raccontare questa storia. Sin da piccola amavo scrivere, e sin da ragazzina devo ammettere di aver subito una fascinazione per la droga e l'eroina in particolare. Non ho però mai fatto uso di sostanze stupefacenti, meglio specificarlo. La mia droga è infatti sempre stata la scrittura. La passione per la letteratura mi ha salvato dalla droga e dalla morte ...".
E com'è nata questa sua pericolosa 'fascinazione' per l'eroina?
"Nella mia adolescenza a Bari con i miei coetanei mi ritrovavano in due piazze sempre affollate. C'erano i punk, i metallari, i discotecari e così via. E c'erano anche i tossicodipendenti. All'inizio, tutti i gruppi, indistintamente, guardavano ai drogati come a degli sfigati. Poi, i miei occhi da adolescente hanno assistito a un cambiamento: a metà anni '90 gli eroinomani sono improvvisamente diventatati trendy. E così, tanti adolescenti, senza più badare alle differenze di gruppo, andavano ad acquistare da loro la droga. L'eroina ha unito tipologie di ragazzi sulla carta completamente diverse. Quando negli ultimi anni ho studiato e approfondito il tema per scrivere questo libro, ho scoperto che in quel periodo questa trasformazione non è avvenuta solo a Bari, ma anche nel resto d'Italia".
Oggi si parla di un ritorno dell'eroina. E' davvero così?
"L'eroina non se n'è mai andata. Semplicemente si è abbassata l'attenzione mediatica. Il picco dei morti per overdose c'è stato nel 1996, furono circa 1500. Oggi, grazie ai Sert e alla somministrazione del metadone, gli eroinomani possono condurre una vita più normale, e questo è l'aspetto positivo. Ma ce n'è anche uno negativo: il metadone crea una dipendenza fisica più lunga dell'eroina, 8 giorni invece di 3. E poi, rispetto al passato, oggi esiste una vera e propria silenziosa epidemia di epatite C".
Lei ha avuto la possibilità di entrare in contatto con decine di tossicodipendenti. A nessuno ha detto la verità, e cioè che non era una drogata come loro?
"Solo a una ragazza con cui sono entrata in particolare intimità. Con lei si è creato un rapporto talmente profondo che non ho potuto mentirle".
Ma ha capito cosa spinge questi ragazzi a drogarsi?
"La loro non è quasi mai una scelta autodistruttiva. All'inizio anch'io ero piena di pregiudizi, e pensavo ai tossici come a dei morti viventi. Ma chi si fa di eroina non cerca la morte. L'obiettivo è liberarsi dal dolore. Gli eroinomani sono ipersensibili e incapaci di affrontare i problemi".
La sua scelta di immergersi nella realtà della droga per poi raccontarla è paragonabile a quella di Roberto Saviano...
"Il paragone è un po' forte, ma regge. Certo, va precisato che ci siamo occupati di temi diversi e  che 'Gomorra' è molto più reportage del mio libro, che è soprattutto un romanzo. E' però vero che entrambi per scrivere abbiamo avuto bisogno di scoprire sulla nostra pelle il mondo che poi abbiamo messo su carta".
Antonella Lattanzi, nel suo futuro cosa c'é?
"Sicuramente i libri. Sto già pensando al secondo. Voglio cambiare tema. Forse parlerò del rapporto madre-figlia

giovedì 6 ottobre 2011

LA DIPENDENZA DA EROINA

Dipendenza da Eroina

L'eroina è un potente analgesico che riduce l'attività cerebrale, producendo una sensazione di rilassamento, sicurezza e benessere. Agli inizi del secolo, l'eroina veniva usata in medicina come sedativo e anestetico, ma allora i medici non conoscevano il suo potenziale in termini di dipendenza. Quando si scoprirono i suoi effetti dannosi, l'uso della sostanza venne bandito. Attualmente, l'eroina non presenta molte applicazioni cliniche legittime, poiché i sedativi e gli anestetici sintetici hanno gradualmente sostituito l'uso dei composti oppiacei.

L'eroina pura si presenta sotto forma di polvere bianca, dal sapore amaro, che viene prodotta dalla linfa del papavero. L'eroina illegale può variare da un colore bianco al marrone scuro, a causa delle impurità residue del processo produttivo o degli adulteranti. Generalmente viene disciolta in acqua e iniettata, ma può essere anche fumata, miscelandola al tabacco, o riscaldata e inalata attraverso le esalazioni, o ancora ingerita.

Fino a non molto tempo fa, gli eroinomani assumevano l'eroina in forma impura, iniettandola per endovena o intramuscolo. Tuttavia, la disponibilità di quantità maggiori di eroina pura fa sì che molti di coloro che attualmente ne fanno uso la inalino o la fumino per ottenere l'effetto desiderato. Ciò significa che persone che non avrebbero mai provato l'eroina, perché avrebbero dovuto iniettarsela, potrebbero ora sperimentarla.

L'eroina è l'oppiaceo più potente. Appena iniettata, suscita uno stato di rilassamento e di benessere. Il dolore fisico ed emotivo è completamente annullato. Una delle ragioni per cui viene ancora impiegata come sostanza d'abuso è che induce una sensazione di sicurezza e tranquillità.

Gli effetti collaterali dovuti all'assunzione di eroina (particolarmente nei neofiti) comprendono irrequietezza, nausea e vomito; si alternano stati di vigilanza e stati di sonnolenza.

L'overdose è il rischio più prevedibile per chi assume eroina. Il fenomeno si verifica con qualsiasi modalità di assunzione, sebbene l'iniezione endovenosa sia quella più pericolosa. L'eroina deprime il sistema nervoso centrale e inibisce le funzioni vitali, quali le attività intellettive superiori, la respirazione e la frequenza cardiaca. L'assunzione di una dose elevata (specialmente se l'eroina è pura) può provocare uno stato comatoso, caratterizzato da un calo della temperatura corporea e da rigidità. La respirazione rallenta e diventa intermittente e può sopraggiungere la morte.

Gli altri rischi associati all'uso di eroina dipendono essenzialmente dalle modalità utilizzate per l'assunzione. Lo scambio di siringhe porta il rischio di contrarre infezioni quali HIV ed epatite B o C, che sono diffuse tra i tossicodipendenti che si iniettano l'eroina. Un altro pericolo è rappresentato dall'assunzione di eroina in associazione con altre sostanze. Alcol, benzodiazepine e barbiturici sono particolarmente pericolosi, in quanto agiscono tutti deprimendo il sistema nervoso centrale. Dato che anche l'eroina ha la stessa azione, l'effetto dell'associazione di queste sostanze può deprimere la respirazione o la frequenza cardiaca al punto tale da causare insufficienza respiratoria e cardiaca.

L'assunzione regolare di eroina determina tolleranza (indipendentemente dalla modalità di assunzione). Di conseguenza la persona tende ad aumentare gradualmente le dosi per ottenere gli stessi effetti iniziali. La tolleranza può svilupparsi molto rapidamente (nell'arco di alcune settimane) e continua ad aumentare se l'assunzione di eroina è regolare. La tolleranza diminuisce interrompendo l'uso di eroina, ma se si torna ad assumerla alle stesse quantità di prima, facilmente si manifesta una "overdose".

Interrompere l'assunzione della droga può essere difficile soprattutto a causa della gravità dei sintomi da astinenza. L'astinenza può indurre sintomi quali diarrea cronica, crampi muscolari, vomito, insonnia, sudorazione eccessiva, ansia e tremori. La prospettiva di questi sintomi scoraggia molti tossicodipendenti. Una volta che l'astinenza fisica viene superata, si continua a provare per molto tempo il desiderio spasmodico di assumere la droga, e le ricadute sono frequenti. In genere, per poter smettere, gli eroinomani hanno bisogno di una forte rete di assistenza che li aiuti a superare il bisogno spasmodico di droga.

FONTE:
NIDA - National Institute on Drug Abuse - USA

lunedì 3 ottobre 2011

INTERVISTA A RICCARDO ZERBETTO

Come si può definire attualmente il counseling?Anche se tentare una definizione per il counseling rappresenta una “soluzione impossibile”, come Pio Scilligo ha titolato la sua lettura magistrale in apertura ad un Congresso promosso nell’ottobre 2005 dal Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti (CNCP), che raccoglie circa 70 scuole riconosciute dal Ministero dell’Istruzione Università Ricerca (MIUR) ed aderenti al Coordinamento Nazionale delle Scuole Private di Psicoterapia (CNSP), si può concordare sul fatto che con il termine di counseling ci si riferisce ad una forma della “relazione di aiuto” che si colloca a ponte tra un intervento di generico “supporto” psicologico ed uno più professionalizzato di psicoterapia. Rispetto a quest’ultima, in particolare ci sono alcuni elementi distintivi come:
  • una più definita messa a punto degli obiettivi realisticamente raggiungibili valutando anche i limiti connessi a situazioni più impegnative di quanto realisticamente è possibile affrontare;
  • una contrattualità terapeutica che coinvolga attivamente l’utente nel processo della crescita personale e della socializzazione;
  • un modello integrativo di intervento che faccia riferimento sia ad aspetti “dinamici” di tipo psico-emozionale che ad aspetti più propriamente relazionali e con il “mondo esterno”;
  • una minore enfasi sugli aspetti transferali sul singolo terapeuta in vista di un allargamento ad una gamma più ampia di possibilità concrete di intervento e di mobilitazione delle risorse.
Come si pone il counseling nei confronti dell’intervento psicoterapeutico?
Nella tradizione del counseling  che, ricordiamo, si è originato nei paesi anglosassoni come forma di intervento spesso collegato all’orientamento sia in ambito scolastico che lavorativo o nel paesi dell’Est europeo come intervento nei confronti della coppia e della famiglia in sostituzione di analoghe attività in ambito pastorale- viene spesso indicata l’area di riferimento nella quale si applica.
Tra queste le più significative sono:
quella scolastica che si propone di incrementare le competenze del “docente referente per la salute” già previste dai Centri di Informazione e Consulenza (CIC) nella scuola,
socio-sanitaria (importanti le aree applicative per i servizi di trapianto d’organo, dialisi, chirurgia estetica e mutilante, patologie terminali, dipendenze e AIDS, eccetera),
familiare (non dimentichiamo la formazione in terapia relazionale ricevuta da molte figure professionali prima della legge sulla psicoterapia e che si troverebbero altrimenti nell’impossibilità di mentre a frutto le competenze apprese), eccetera.

Al di là di possibili aspetti competitivi tra le diverse professioni, è dato rilevare esperienze interessanti di utile integrazione e sinergia come quelle in cui uno psicoterapeuta affida al counselor alcuni casi che decide di non seguire (per limiti di tempo o indicazione specifica ad interventi più settoriali e mirati) e -per converso- di riferimento a psicoterapeuti da parte di counselor allorché la problematica si manifesta come clinicamente impegnativa e allorché il paziente si sente più pronto ad affrontare un lavoro più approfondito.

Laddove l’intervento del counselor si esprime al di fuori di un ambito istituzionale e quindi in un setting individuale, familiare o di gruppo ritengo che sia d’obbligo l’impegno alla supervisione con psicoterapeuti in grado di fornire un sostegno sugli aspetti diagnostici e di accompagnamento su processi più impegnativi.

Non bisogna dimenticare infatti che, al di là della norma generalmente accettata che prevede l’esclusione di interventi di counseling con persone affette da patologie più marcate, tali situazioni possono comunque presentarsi ponendo quesiti di non facile soluzione.

Il paziente, ad esempio, può insistere per rimanere in trattamento con il counselor e rifiutare un invio o, addirittura, preferire questo tipo di approccio ad uno orientato in senso più esplicitamente medico-psichiatrico o psicologico.

Chi può a suo avviso svolgere counseling e di quale tipo di formazione necessita?
Coerentemente alla tradizione anglosassone che riconosce maggior importanza alle competenze pragmatico-operative che teoriche, la Associazione Europea di Counseling (EAC) non richiede una laurea anche se la stessa, anche sotto forma di laurea breve, viene spesso richiesta da alcune organizzazioni nazionali.

sabato 1 ottobre 2011

CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA E SOCIALE "ISIDE"




Perchè Il nome Iside   

Abbiamo scelto questo nome perché nella mitologia egizia Iside rappresenta la dea della creatività, della fertilità e della rinascita, era colei che apportava la Cultura e dava salute; nel culto più antico Iside aveva due aspetti: Natura e Luna, da qui la nostra scelta di rappresentarla come una luna all’interno del logo dell’Associazione.
Il mito di Iside  narra che la dea ebbe il potere di assemblare le diverse parti del corpo per donare alla persona una nuova vita. Una caratteristica significativa della psicologia risulta essere l’integrazione delle diverse  parti del Sé, al fine di tendere ad un equilibrio e ad un’armonia tale da promuovere un ascolto ed una sana relazione con sé e con  l’altro.
Come la Dea poteva accedere ai tre mondi, cielo, terra e inferi, così l’individuo può accedere alle tre istanze psichiche, dando vita ad una “nuova” figura- persona.
Il Centro P.C.S. Iside, ha voluto prendere ispirazione da questa figura mitologica, utilizzando un logo che simbolicamente raffiguri una luna centrale (Iside) con delle frecce attorno, tali da esplicitare l’idea di movimento, a significato di scambio, reciprocità, dinamismo, interazione e dunque attivazione.
Le frecce sono a loro volta circondate da tre figure ovali volte a proteggere e allo stesso tempo a facilitare la crescita e lo sviluppo delle potenzialità della persona verso un’individualizzazione sana ed integrata.

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giovedì 29 settembre 2011

DIPENDENZA DA ALCOL

Con il termine alcol si intende comunemente definire l'alcol etilico o etanolo. L'alcol assoluto ha una purezza del 99% essendo il rimanente 1% rappresentato da acqua. L'alcol etilico è il principale componente psicoattivo presente nelle bevande alcoliche.

42-17924575.jpgIl suo contenuto nelle bevande si esprime attraverso il numero di gradi alcolimetrici (°) che rappresenta la percentuale in volume (% vol.) di etanolo nella soluzione acquosa; così nella birra chiara abbiamo una concentrazione di alcol pari a 5-6° o più; nel vino 10-12°; nei superalcolici 40-50° ed oltre.

ASTEMIO
Colui che non beve alcolici di nessun tipo.
 
 BEVITORE MODERATOColui che beve modiche quantità di alcol senza ripercussioni al livello sociale e senza sviluppare sintomi fisici di tolleranza e astinenza.

BEVITORE PROBLEMATICOColui che fa uso continuo di alcol anche se la sostanza gli causa problemi sociali, lavorativi, psichici o fisici e viene assunta in condizioni fisicamente rischiose (guida).

ALCOLISTAColui che ha perso la capacità di controllo nei confronti dell’alcol, che viene assunto nonostante il verificarsi di conseguenze negative. L’alcolista sviluppa pertanto una dipendenza dall’alcol che, nei casi più gravi, arriva ad essere una dipendenza fisica: in tal caso la persona può soffrire la sindrome di astinenza.

ASTINENTEColui che manifesta sintomi psicofisici in seguito ad una brusca sospensione dell’assunzione di alcol. I principali sintomi sono: tremore, nausea, vomito e, in casi estremi, zoopsie e stato confusional

Associazione Onlus "La Promessa"

DIPENDENZA DA INTERNET

NOVITA'
ESEGUI IL TEST DI INTERNET ADDICTION!
Nel 1995 lo psichiatra americano Ivan Goldberg ha introdotto l'espressione " Internet Addiction Disorder " (I.A.D.) individuandone i sintomi caratteristici, di seguito elencati:
  1. bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere  soddisfazione;
  2. marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano Internet;
  3. sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell'uso della rete, di agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line, classici sintomi astinenziali;
  4. necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all'intenzione iniziale;
  5. impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l'uso di Internet;
  6. dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla rete;
  7. perdurare dell'uso di Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete stessa.
CARATTERISTICHE ASSOCIATE:
  1. perdita delle relazioni interpersonali;
  2. modificazioni dell'umore;
  3. alterazione del vissuto temporale;
  4. cognitività completamente orientata all'utilizzo compulsivo del mezzo;
  5. "feticismo tecnologico" : tendenza a sostituire il mondo reale con un oggetto artificioso con il quale si riesce a costruire un proprio mondo personale e in questo caso virtuale;
  6. deprivazione del sonno;
  7. problemi fisici di varia natura (mal di schiena, affaticamento degli occhi, sindrome del tunnel carpale, ecc.);
SI DISTINGUONO 5 SOTTOTIPI DI DIPENDENTI DA INTERNET:
  1. Cybersexual Addiction : uso compulsivo di siti dedicati al sesso virtuale e alla pornografia;
  2. Cyber-Relational Addiction : eccessivo coinvolgimento nelle relazioni nate in rete;
  3. Net-Compulsions : comportamenti compulsivi collegati a diverse attività in Internet quali gioco d'azzardo, shopping e commercio on -line, con conseguenti perdite ingenti di denaro;
  4. Information Overload : ricerca ossessiva di informazioni tramite la "navigazione" sul World Wide Web;
  5. Computer Addiction: tendenza al coinvolgimento eccessivo in giochi virtuali, come per esempio i MUD's  (Multi User Dimensions - giochi di ruolo).
Associazione Onlus "La Promessa"

DIPENDENZA DA CIBO

Crisi e conflitti dell’Adolescenza trovano nei comportamenti alimentari una manifestazione sintomatica di espressione.
L’Anoressia, la Bulimia e l’Obesità sono i disturbi del comportamento alimentare più importanti e noti, ma ne esista una varietà più ampia che varia tra situazioni di normali crisi evolutiva e quadri patologici. I disturbi del comportamento alimentare nell’adolescente si manifestano in forme particolari, sfumate e del tutto individualizzate tali da creare una grande confusione e difficoltà.

ANORESSIA NERVOSAanoressia2.jpgCaratteristiche:
> desiderio di essere sottopeso e severa perdita di peso (meno dell’85% del peso standard)
> paura di ingrassare
> preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico
> amenorrea (mancanza di almeno tre cicli mestruali consecutivi) nelle donne; perdita dell’interesse sessuale e impotenza negli uomini
Si distinguono due sottotipi di anoressia nervosa:
> anoressia nervosa con restrizioni
> anoressia nervosa con abbuffate e condotte di eliminazione

BULIMIA NERVOSAbulimia1.jpgCaratteristiche:
> abbuffate ricorrenti (consumo di una grande quantità di cibo per un periodo di tempo abbastanza lungo e sensazione di perdita di controllo sull’atto di mangiare)
> comportamenti di compenso
> frequenza delle abbuffate e dei comportamenti di compenso (almeno due volte la settimana per tre mesi)
> preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico
Si distinguono due sottotipi di bulimia nervosa:
> con condotte di eliminazione
> senza condotte di eliminazione (digiuno o esercizio fisico eccessivo).

OBESITA'obesita1.jpgCaratteristiche:
> Peso corporeo maggiore del 20% rispetto al peso ideale (calcolato in base all’età, all’altezza, al sesso e al tipo di costituzione della persona).
> Eccessi alimentari
> Il cibo diventa l’unica fonte di gratificazione.
  
Le maggiori cause:
> Genetiche
> Ambientali
> Psicologiche

Esistono due tipi di obesità:
> Obesità di sviluppo: si presenta sin dall’infanzia e dipende da fattori costituzionali.
> Obesità reattiva: si sviluppa generalmente dopo un trauma emotivo (eventi vissuti dal bambino in traumatico).

BMIIl Body Mass Index, o indice di massa corporea, è il risultato del peso (in Kg.) diviso per il quadrato dell'altezza (in m. quadrati). Se il BMI è 30 è obeso (per gli adolescenti e per i bambini i range di peso variano a seconda dell’età).
Oscillazioni di peso (fino a 3 Kg.) sono considerate fisiologiche. Il range di peso accettabile non dovrebbe mai essere inferiore ad un BMI di 18,5. Al di sotto di questo valore compaiono i sintomi da digiuno.

ALTRI DISTURBI

Oltre all’anoressia e alla bulimia nervosa, cominciano ad avere molta risonanza sociale altri disturbi del comportamento alimentare:

L’ortoressia consiste in un'attenzione eccessiva e continuativa per i cibi sani (tipo cibi biologici), che puo’ trasformarsi in una vera e propria patologia nervosa, tanto da spingere le persone ad adottare una dieta sempre più rigida fino a eliminare gruppi essenziali di cibi, ritenuti dannosi per l’organismo, e creare carenze gravi per l’organismo.

La Bigorexia è invece una situazione che possiamo descrivere come inversa dell’ anoressia in quanto si è costantemente preoccupati di essere troppo magri. Osservata soprattutto nei circoli di body building va tuttavia distinta dal tipico gym-goer in quanto si è disposti a tutto pur di incrementare la massa muscolare. Questo comportamento può portare a conseguenze molto pericolose per la salute.

Alcuni soggetti inoltre presentano problemi appartenenti sia alla sfera dei disturbi del sonno che a quella della condotta alimentare e sono i casi che rientrano nel Sleep Eating Disorder o nella Night Eating Syndrome.

Il SED (Sleep Eating Disorders) è un disturbo del sonno caratterizzato da episodi ricorrenti di sonnambulismo durante i quali i soggetti fanno abbuffate consistenti per lo più in grandi quantità di cibo ad alto contenuto di zucchero o grassi. Tali pazienti spesso non ricordano questi episodi e questo costituisce un alto rischio di autolesionismo non intenzionale.

Il NES (Night Eating Sindrome) è un disturbo in cui i soggetti rifiutano il cibo nella giornata, in genere saltando la colazione e non mangiando fino a mezzogiorno, mentre la sera o la notte fanno un consumo eccessivo di cibo. Tale comportamento rende fallimentare tutti i tentativi di perdere peso, aumenta lo stress e l’ansia influenzando sia la fase di addormentamento (difficoltà ad addormentarsi) che quella del sonno vero e proprio (incubi o risvegli frequenti), nonché - a lungo andare- ad avere problemi a stare svegli durante il giorno o ad addormentarsi nelle situazioni meno indicate.
 
Associazione Onlus "La Promessa"

DIPENDENZA DA DROGHE

Con il termine di tossicodipendenza si definisce (OMS) la condizione che spinge l'individuo, in maniera più o meno coatta, ad assumere sostanze (droghe) a dosi crescenti o costanti per avere temporanei effetti benefici soggettivi, la cui persistenza è indissolubilmente legata alla continua assunzione della sostanza, con conseguenze nocive per l'individuo e la società.desert Il termine tossicodipendenza ha sostituito gradualmente il precedente di tossicomania.
Per tossicomania si intende (OMS) uno stato di intossicazione cronica o periodica prodotto dal consumo ripetuto di una droga naturale o sintetica.
LE SUE CARATTERISTICHEIl desiderio invincibile di continuare ad assumere la droga: esso è legato al desiderio di provare nuovamente i suoi effetti piacevoli.
Una dipendenza psichica dalla droga: la dipendenza psichica si riferisce al desiderio di sperimentare gli effetti benefici legati all'assunzione della droga, la fuga dall'ansia e dal conflitto, l'evasione dalla noia.
Una dipendenza fisica dalla droga: la dipendenza fisica si riferisce alle modificazioni chimico-fisiche che la droga produce nell'organismo, per cui esso non può più farne a meno, nel senso che la droga si inserisce nel metabolismo in maniera di divenire essenziale per il funzionamento dell'organismo.
La scomparsa della droga dall'organismo provoca segni e sintomi di squilibrio, di sofferenza, di alterazione funzionale: la sindrome di astinenza dalla droga.
La tendenza ad aumentare le dosi è legata al fenomeno dell' assuefazione o tolleranza, condizione per cui l'uso protratto di una sostanze determina nell'organismo che l'assume effetti soggettivi sempre più scarsi, per cui per ottenere sempre lo stesso effetto iniziale bisogna aumentare le dosi.

Associazione Onlus "La Promessa"

mercoledì 28 settembre 2011

LA DIPENDENZA NELLE RELAZIONI

Anna Poletti intervista Loris Adauto Muner – pubblicato su AuraWeb



- Che cosa sono le dipendenze e in che modo danneggiano la nostra vita?
Ogni forma di dipendenza deriva dal credere che ci sia qualcosa al di fuori di noi che possa salvare o rovinare la nostra vita. Le forme di dipendenza possono variare: si pensi alla dipendenza da sostanze farmacologiche, alle droghe, all’alcol, ma anche al campo delle relazioni, agli atteggiamenti compulsivi e alle dinamiche relative al lavoro. Ma la credenza magica ad esse sottostante è la medesima.
Le dipendenze, con i loro “demoni”, attaccano la nostra anima e ci privano, da un punto di vista esistenziale, della nostra responsabilità umana. Senza libertà di scelta l’uomo si oggettivizza, diventa “cosa”. Senza responsabilità viene meno anche la libertà, la caratteristica peculiare dell’essere umano.
Se la responsabilità della nostra vita dipende da una sostanza, da una donna, dal lavoro, automaticamente si è privati della libertà. E senza libertà l’anima viene schiacciata, annientata. Ho conosciuto tanti esseri umani a cui la dipendenza dall’eroina aveva ridotto l’anima a un lumicino fievole, a una fiammella quasi estinta.


- Quali sono i passi da compiere per liberarsi dalle dipendenze?
Lavorare in comunità mi ha portato a conoscere il Programma dei dodici passi ideato dai primi Alcolisti Anonimi, il famoso gruppo di auto-aiuto che si è dimostrato valido per liberarsi dalle dipendenze, di qualsiasi tipo esse siano.
Il primo passo è arrendersi. Dalla dipendenza non si esce fino a che si crede di comandare e di controllare l’oggetto della dipendenza. Alla base della dipendenza vi è un delirio di onnipotenza, e, in questo senso, potremmo affermare che la dipendenza è il trionfo dell’Ego sul Sé.
L’Ego è la mente della scarsità, la mente della paura, come lo definiscono i buddisti. L’Ego si struttura sulla paura, e la resa dell’Ego significa rinunciare al delirio di onnipotenza e affidarsi a una saggezza spirituale.
Fuori dal sistema dell’Ego non si sente mancanza, non si ha paura di perdere qualcosa, perché il cuore è ricolmo d’amore e si scopre che la pienezza, l’innamoramento e l’amore sono uno stato dell’anima e non dipendono da altre persone. Le persone di cui ci innamoriamo sono gli specchi che ci rimandano il nostro Sé, la nostra anima. Spesso ci innamoriamo degli specchi, dimenticando che è il riflesso che ci rimandano a cui in realtà aneliamo.

- Affidarsi a un Potere Superiore per essere aiutati a liberarsi dalle dipendenze che rendono incontrollabile la nostra vita. Cosa significa?
Affidarsi a un Potere Superiore, a Dio per chi crede, oppure al proprio Sé, è un passaggio fondamentale che permette di aprirsi un varco nel percorso del Perdono. Vi è un aspetto salvifico nella dipendenza: se riesco a sbattere per terra il muso dell’Ego, e mi arrendo, si apre una via spirituale.
Il bisogno di dipendenza si può definire in due modi, a due livelli diversi; il bisogno di controllo, che fa parte della struttura dell’Ego, e il bisogno di totalità, che fa parte del mondo del Sé. Il desiderio di riunirsi alla totalità, che spesso viene mal compreso e vissuto come bisogno di simbiosi, è un anelito alla ricerca spirituale.
Quando, ai soggetti dipendenti, sono riuscito a fare spostare l’attenzione dalla droga verso la ricerca di spiritualità e di assoluto, ho potuto costatare una forte sensibilità a questo richiamo. Spesso i tossicodipendenti cercano, anche se in modo sbagliato, i valori assoluti.

- Quanta importanza hanno la conoscenza di se stessi e dei propri errori per uscire da una dipendenza?
Liberarsi da una dipendenza implica necessariamente la comprensione di se stessi. Se sono dipendente proietto la responsabilità della mia vita al di fuori di me. L’opposto della dipendenza è la presa di responsabilità e quindi la libertà, che può venire solo con la consapevolezza.
Riconoscere i propri errori è un primo passo, ma non basta. Il passaggio successivo è la consapevolezza. Sono consapevole solo se mi assumo la responsabilità delle conseguenze del mio problema. Bisogna avere il coraggio di ammettere i propri errori fino in fondo.
Quando un alcolista riesce a dire alla persona a cui è legato: “so che bevo perché in questo modo ti ricatto moralmente e ti lego a me”, o una donna depressa al suo compagno: “io ho una depressione perché in questo modo ti faccio sentire in colpa e tu non mi lasci”, solo allora, quando si sa di avere peccato, non si è più nel peccato.

- Cos’è la codipendenza? Come liberarsi dal bisogno di controllare gli altri e di farci controllare dagli altri?
La codipendenza è un’altra forma di dipendenza. Il dipendente ha bisogno di una certa cosa. Il codipendente invece ha bisogno del bisogno che il dipendente ha di una certa cosa. Spesso i codipendenti, ad esempio la moglie di un alcolizzato, nel momento in cui il marito cerca di venirne fuori, fa inconsciamente di tutto per indurlo ad una ricaduta. Hanno bisogno della dipendenza dell’altro per crearsi un’identità e soddisfare i propri bisogni.
L’unica differenza tra il dipendente e il codipendente è che quest’ultimo crede di essere sano. E crede anche che salverà l’altro. Pensiamo alla famosa “sindrome della crocerossina”. In fondo sia il dipendente che il codipendente cercano di usare qualcos’altro per sfuggire alla responsabilità della loro vita.

- Quali sono le basi su cui instaurare una relazione sana?
Premetto che le relazioni sane sono piuttosto rare, anche se ci sono. Riconoscere l’amore come una via che conduce a Dio, e non come a una via che conduce all’altro è la soluzione. L’altro è uno specchio che riflette la nostra anima. Amare l’anima, non gli specchi, è la base per creare una relazione sana. Aprirsi all’altro e al contempo a se stessi, fare accadere l’incontro che rivela l’io al tu, inter-essere è amore.
La mia esperienza con i tossicodipendenti mi ha fatto capire che non basta togliere l’eroina, la sostanza che genera dipendenza. Eliminata l’eroina, resta il vuoto esistenziale. Per restituire l’uomo a se stesso, prima che possa donarsi all’altro, bisogna iniziare col dargli un senso di appartenenza (ad esempio a un gruppo o al terapeuta). E’ un passaggio indispensabile per potersi poi separare, e per conquistare la libertà da cui sgorga l’amore.

- Quali sono state le maggiori soddisfazioni raccolte durante gli anni trascorsi con i tossicodipendenti?
Le maggiori soddisfazioni? Vederli tornare a vivere con l’anima accesa. Le tristezze, ovviamente, vedere che alcuni non ce la facevano a vincere la morte. Una volta, ricordo con particolare felicità, uno di loro mi disse: “sai, abbiamo deciso che tu sei quasi come noi, ma guarda che non lo diciamo a tutti.”

L' ADOLESCENZA INTERMINABILE: ASPETTI SOCIALI E PSICOLOGICI

Se c’è un periodo della vita che più di ogni altro può essere paragonato ad una seconda nascita, persino da un punto di vista biologico, questo periodo è senza dubbio l’adolescenza. Se infatti è vero che ogni fase della vita comporta dei cambiamenti psichici e fisici, si pensi per esempio all’età infantile o all’invecchiamento, è anche vero che i cambiamenti che impone l’adolescenza si caratterizzano per il loro presentarsi in modo drammaticamente rapido, rapidità per lo più estranea agli altri periodi dell’esistenza.

La comparsa delle mestruazioni e la assunzione di forme femminili nelle ragazze, lo sviluppo muscolare virile, la crescita della barba, dei peli, il cambio della voce, e soprattutto la maturazione psicofisica che predispone verso l’attività sessuale, rendono l’adolescenza un periodo che impone necessariamente dei cambiamenti psichici, semplicemente perché tutte le trasformazioni sopraelencate “accadono” senza possibilità di opporvisi.
I cambiamenti adolescenziali impongono al giovane di confrontarsi con alcuni “nodi” chiave della vita, che possiamo sintetizzare in questa maniera: la necessità di separarsi psicologicamente dai propri genitori per poter ricercare, trovare e costruire la propria identità personale.Storicamente, questo processo di costruzione della propria identità personale, trovava un inizio e una fine con l’iniziare della pubertà e i diciannove/venti anni. Attualmente invece l’adolescenza si prolunga ben oltre i 20 anni, non a caso molti autori, ha avuto modo di far notare Giorgio Cavallari (2003), parlano di “adolescenza interminabile”.
Le cause di questa interminabilità dell’adolescenza vanno ricercate sia in aspetti sociali che in aspetti psicologici. Da un punto di vista sociologico ci sono almeno 2 fattori che differenziano la società contemporanea da quella appena precedente: l’assenza di guerre che vedano direttamente coinvolti un numero di persone esorbitante (basti pensare alle due guerre mondiali del secolo scorso), e l’essere passati da famiglie molto numerose a famiglie nucleari con pochissimi figli.
Sia le guerre, sia le famiglie numerose “spingevano” il giovane adolescente a diventare subito adulto: le guerre e la povertà tipica delle famiglie numerose costringevano di fatto gli adolescenti ad uscire di casa, a procurarsi un reddito, e a trovare con velocità un loro posto nel mondo. Oggi, fortunatamente, queste pressioni sociali esercitate da guerre e povertà sono venute meno e di conseguenza ciò ha inevitabilmente rallentato il processo adolescenziale.
Tuttavia, i soli cambiamenti socio-economici non spiegano la contemporanea interminabilità dell’adolescenza. Per capire meglio le nuove adolescenze dobbiamo fermarci ad analizzare i cambiamenti psicologici che hanno investito le figure genitoriali. In altre parole, è cambiato il modo in cui i genitori vivono e interpretano la paternità e la maternità. Per esempio, i padri tradizionali, con il loro carattere autorevole, dominante, spesso e volentieri eccessivamente autoritari, creavano una tensione tale nell’adolescente, che di fatto facilitavano nell’adolescente stesso il desiderio di formarsi una propria famiglia. Cioè, i padri di una volta creavano conflitto con i figli, e quest’ultimi uscivano dal conflitto diventando adulti.
I padri attuali, quando sono realmente presenti, tendono ad essere  molto più affettivi che normativi (Zoja 2001), sanno stare molto più in relazione con i figli, ma hanno un pochino perso la loro funzione classica di spingere la prole verso l’esterno. Anche le madri sono cambiate: le madri di qualche decennio fa avevano molti figli e decidevano, forse sarebbe meglio dire accettavano, di diventare madri e mogli perché quello era il solo destino che una società essenzialmente patriarcale riservava loro, mentre le madri attuali lo divengono perché scelgono consapevolmente di esserlo. Divengono madre più tardi, sono più mature rispetto alle loro antenate, ed hanno meno figli. Ciò vuol dire che psicologicamente investono di più sui figli, anche perché spesso ne hanno uno solo.Tutto ciò, anche se spesso, e ciò non è poco, trasmette un maggiore calore emotivo ai figli rispetto al recente passato, influenza anche la durata del processo adolescenziale perché sostanzialmente è cambiato il terreno psichico su cui si dipana l’adolescenza. Semplificando un pochino, da un punto di vista psicologico, si può dire che mentre una volta l’adolescente veniva energicamente spinto dalla famiglia e dalla società in genere a divenire adulto, al giorno d’oggi deve lottare per raggiungere la condizione adulta.
Perché mai gli adolescenti di oggi dovrebbero lottare per divenire adulti? Proviamo a rispondere con un esempio. Molti giovani di oggi, dopo aver terminato gli studi, si trovano in una condizione lavorativa  precaria e per uscire di casa forse dovrebbero anche pagare un affitto. Insomma, una situazione oggettivamente difficile. Hanno dei propositi, dei progetti, ma interviene la voce razionale della famiglia d’origine, e forse più nello specifico della propria madre: “Qui da noi, è più comodo. Hai tutto lavato, non devi cucinare, a fine mese risparmi facilmente e se vuoi puoi permetterti vacanze, ristoranti, svaghi.” Effettivamente viene proposta una situazione comoda, certamente in perfetta buona fede, perché si vuol proteggere il proprio figlio/a. Una situazione appunto in cui si può però rimanere impantanati per l’eternità.
Continuare a vivere, psicologicamente parlando, in una situazione protetta finisce infatti con il produrre una stasi esistenziale da cui è poi sempre più difficile uscire. L’eccesso di protezione con il tempo porta a vivere in una condizione di irrealtà, di regressione, perché conduce l’individuo a voler rimanere ancorato per sempre alla famiglia d’origine. In altre parole il non saper rinunciare alla protezione genitoriale, mi si permetta l’espressione, fa scivolare verso una condizione puerile.L’adolescente è quindi costretto a lottare con tutto se stesso per evitare che tutto ciò accada, è costretto a lottare per non svegliarsi un giorno e scoprire di essere anagraficamente adulto senza aver vissuto da adulto.
Marie-Louise Von Franz, nel suo libro “Il processo d’individuazione nella fiaba” (1987), descrive con dovizia di particolari le qualità dell’eroe, ne sottolinea in particolar modo un aspetto: “Se si studiano gli eroi della mitologia comparata, si scoprirà che sono contraddistinti da una vocazione che realizzano senza la minima esitazione.” (Von Franz, 1987, pag. 90) Secondo la Von Franz, ciò denota un’insolita unità della personalità:  l’eroe non discute, ma semplicemente sa e fa quello che deve essere fatto. La Von Franz, analista di primissimo piano e profonda conoscitrice di mitologia e fiabe, è ben consapevole del fatto che il comportamento eroico non si incarna mai totalmente in una persona reale, ma è altrettanto ben consapevole del fatto che l’immagine dell’eroe appartiene naturalmente alla psiche umana, in quanto immagine radicata nell’inconscio collettivo di noi tutti. Da qui ne deriva il suo potenziale “curativo”. Infatti, secondo la Von Franz, l’immagine dell’eroe si attiva nella psiche inconscia, per esempio inizia a comparire nei sogni, nel momento in cui una persona non riesce a superare certe difficoltà esistenziali. In sostanza, la psiche inconscia cerca di aiutare la parte più cosciente della personalità ad andare oltre le sue difficoltà.
Adesso, tornando sul nostro discorso relativo all’interminabilità dell’adolescenza, possiamo notare che gli adolescenti contemporanei hanno bisogno di assumere su di essi l’atteggiamento eroico. Ovviamente non possono essere eroi tout court, ma devono averne l’atteggiamento per riuscire a rinunciare, almeno in buona parte, alla protezione che offre la propria famiglia d’origine.
L’atteggiamento eroico fa volare alti, spinge a credere in qualcosa che al momento ancora non c’è, e proprio in virtù di ciò aiuta l’adolescente a confrontarsi con quella realtà esterna di cui ha tanta paura. L’atteggiamento eroico insegna a fidarsi di se stessi, a saper reggere la frustrazione dei momenti difficili, a saper vincere, ma anche a saper perdere. Inoltre, facendo confrontare l’adolescente con la realtà, l’atteggiamento eroico  aiuta nel divenire adulti, perché pone l’adolescente in condizione di poter ricevere una “restituzione sul suo conto” dalla realtà stessa:  in ultima istanza, il confronto con la realtà permette cioè all’adolescente di capire meglio chi veramente è, cosa vuole, cosa desidera e cosa può concretamente fare.In conclusione possiamo dire che se l’adolescenza è diventata interminabile è perché  essere adolescenti oggi è difficile, perché il passaggio all’età adulta non è più né scontato, né automatico, bensì è un qualcosa che va conquistato sul campo. E’ un passaggio assolutamente non facile e le risorse per farcela l’adolescente deve trovarle essenzialmente dentro di sé: deve avere il coraggio di fare appello al suo lato eroico per non far spegnere quella fiamma interiore che ci spinge a crescere e divenire quello che più intimamente siamo.

Luca Zucconi

LE NUOVE DIPENDENZE PATOLOGICHE

L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive il concetto di dipendenza patologica o di sindrome della dipendenza come “quella condizione psichica e talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione” (cit, in Pigatto, 2003).
Anche nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR, APA, 2000) e del Manuale di Classificazione delle Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali (ICD-X, OMS, 1994) la nozione di dipendenza presuppone esclusivamente l’uso di sostanze psicoattive.
Al di là dell’importazione sopraccitata e largamente condivisa nella letteratura scientifica e nella pratica clinica, la nozione di dipendenza viene sempre più frequentemente utilizzata per spiegare anche, sintomatologie derivanti dalla ripetizione di altre attività per lo più socialmente accettate, che non implicano l’assunzione di alcuna sostanza (Del Miglio & Corbelli, 2002; Shaffer & Kidman, 2003).
Queste nuove dipendenze o dipendenze comportamentali si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti, tra esse le più note e maggiormente indagate sono il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP), lo Shopping Compulsivo, la Dipendenza da Lavoro e da Studio, le Dipendenze da Tecnologia, le Dipendenze Relazionali e alcuni Disturbi Alimentari (Marganon e Aguaglia, 2003).
Infatti, diversi studi evidenziano come sia le dipendenze comportamentali (Nuove Dipendenze) sia quelle determinate dall’uso di sostanze presentano delle somiglianze che possono essere così riassunte:
- la sensazione di impossibilità di resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento (compulsività);
- sensazione crescente di tensione che precede immediatamente l’inizio del comportamento (craving);
- piacere e sollievo durante la messa in atto del comportamento;
- percezione di perdita di controllo;
- persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative.
In questo modo risulta chiaro che le tossicodipendenze sono solo una classe dei disturbi di dipendenza. Francisco Alonso- Fernandez (1999) propone una suddivisione generale delle dipendenze che si basa su delle regole sociali e li distingue in:
- dipendenze sociali o legali: costituite da droghe legali (tabacco, alcol, farmaci, ecc.) e da attività socialmente accettate come mangiare, lavorare, fare acquisti, giocare, navigare sull’internet, ecc. In questa categoria sono incluse secondo l’autore, le dipendenze senza droga che risultano agevolate dall’innovazione tecnologica della società moderna che genera stress, noia e senso di vuoto ma stimola un’immediata gratificazione.
- dipendenze antisociali o illegali: costituite da dipendenze da droghe ed attività illegali, per esempio oppiacei, cocaina, stuprare, ecc.
La classificazione cosi mette in risalto la natura sociale e culturale delle dipendenze e suggerisce che le differenze tra dipendenze da sostanze e da comportamenti esistono non tanto per le sintomatologie ad esse associate, quanto per le caratteristiche intrinseche degli oggetti di dipendenza.
Ulteriori conferme nel considerare le dipendenze comportamentali come le tossicodipendenze, oltre che la similarità nei diversi sintomi, vi sono anche i risultati di numerosi studi che riportano un’elevata frequenza di condizioni di poli-dipendenza (Gossip, 2001), - ossia la compresenza di una o più dipendenze da sostanze e comportamenti nella stessa persona - di cross-dipendenza - ossia il passaggio nella storia della vita della persona da una dipendenza ad un’altra e - la similarità nei principali fattori di rischio - ossia impulsività, ricerca di sensazione, esposizione precoce, familiarità e nei fattori di protezione - ossia controllo genitoriale, adeguate capacità metacognitive.
Tali risultati portano molti autori a postulare, appunto, una vera e propria Sindrome da Dipendenza o Dipendenza Patologica (Orford, 2001) che è prodotta semplicemente dalla ripetizione di qualsiasi comportamento che assume rilevanza psicologica per l’individuo, nel senso soprattutto di riduzione di stati emotivo-affettivi percepiti negativamente e contemporaneamente di intensificazioni ed esaltazione di stati positivi di percezione di sè e del mondo.
Il punto d’arrivo naturale di questa prospettiva non è tanto il riconoscimento che certe condotte compulsive, come il gioco d’azzardo patologico, costituiscano vere e proprie dipendenze alla stegua delle tossicodipendenze e quindi che esistano tante dipendenze, bensì l’idea dell’esistenza di un’unica sindrome di dipendenza che può avere espressioni molto diverse. Questa visione ha diverse implicazioni sia per la ricerca sia per il trattamento (Shaffer et al., 2004).
Per un approfondimento:Couyoumdjian, A., Baiocco, R., Del Miglio, C. (2006). "Adolescenti e nuove dipendenze". Ed. Laterza.

lunedì 26 settembre 2011

UNITA' DI STRADA "VILLA MARAINI"

Lavoro di strada "outreach work" un termine che definisce specifiche finalità operative e
di approccio a chi "vive" sulla strada. Già negli anni '20 negli Stati Uniti furono attivate
 nelle varie realtà locali, delle iniziative sociali, con lo scopo di allacciare contatti significativi
 con bande giovanili.
Altra esperienza storica significativa si avuta in Olanda negli anni '70, dove gruppi di
consumatori di sostanze si attivarono come unità di strada (operatori) al fine di ridurre
la diffusione dell'epatite B. Soltanto alla fine degli anni '80 sull'esempio di quanto già
accadeva anche in altre città d'Europa quali Amsterdam, Berlino, Liverpool e con un
numero sempre maggiore di tossicomani non in trattamento, il sommerso ha motivato
alcune realtà locali ad attivare interventi mirati a questo target.
Questa filosofia di intervento quanto negli anni Villa Maraini ha sempre cercato
 di realizzare: offrire una opportunità di contatto, di socializzazione a persone
 che vivono una condizione di tossicodipendenza, che porti ad una riduzione
del rischio ed alla riscoperta di alternative alla vita di piazza.
Nel 1991 la Fondazione ha iniziato la fase preliminare per lo sviluppo di questa
nuova attività nel campo delle tossicodipendenze e della prevenzione dell'AIDS, ancora
 non realizzata nel circondario romano.
Dal 25 marzo 1992 Villa Maraini passata alla fase della realizzazione pratica del Progetto
con due poli operativi: una Unità Mobile di strada ed una Unità Fissa a bassa soglia.
Dal 1 agosto 1994 al 31 luglio 1996 questo servizio stato il punto di riferimento
 nel Progetto di Riduzione del Danno deliberato dalla Regione Lazio attraverso
 l'Osservatorio Epidemiologico Regionale collaborando con altri Enti Ausiliari attivi
sul campo specifico della tossicodipendenza.
Con il progetto "Unità di Strada", il Servizio che porta la sua accoglienza nei luoghi a rischio,
cio nelle piazze, ponendosi come punto di riferimento ed offrendo una gamma di interventi
anche a "chi non sa esprimere una domanda o non consapevole del bisogno".
La immediatezza e la semplicità del contatto a bassa soglia producono fiducia nelle
persone che vengono avvicinate, bilancio che si accresce anche grazie ai numerosi
interventi in situazione di overdose e di pronto soccorso che vengono effettuati.
L' equipe base, sempre presente al camper, costituita
da un medico, uno psicologo, tre operatori ex-tossicodipendenti
 (formati dopo un corso specifico), due volontari del soccorso della C.R.I.,
cercando sempre nuove soluzioni d'intervento, tendenti sempre a raggiungere
un maggiore numero di persone tossicodipendenti (TD) in difficoltà.
A questo scopo si sono formate le "Unità Itineranti", ovvero un gruppo di operatori
di base del Camper che in un lavoro di immersione nel territorio limitrofo dove opera
 l'Unità di Strada, riescono a raggiungere le zone più a rischio. Il target di riferimento
sono tossicodipendenti attivi, prostitute/i, TD omosessuali, tossicoalcolisti,
farmacodipendenti che usano eroina ed altro (cocaina, ecstasy. THC, LSD, benzodiazepine ecc.)
 giovani emarginati, stranieri che usano sostanze, giovani consumatori.

Automezzi impiegati:
della Croce Rossa sia con la sede dell'Unità di "Emergenza Droga" a Villa Maraini, per
le situazioni di emergenza.
In molti casi vengono usate le auto private del personale, per l'accompagnamento
ai servizi delle persone TD contattate

Unità Mobile Camper fornita di telefono cellulare (339/49.77.620) e auto di appoggio.
I mezzi sono dotati di radio trasmittente in continuo contatto sia con l'autoparco


L'unità di strada a Villa Maraini