martedì 18 ottobre 2011

Antonella Lattanzi, ecco l'erede di Roberto Saviano

Lunedì, 12 aprile 2010 - 13:30:00

di Antonio Prudenzano
devozione
LA COPERTINA

"Devozione",
 
dilaniante romanzo-reportage dell'esordiente 30enne Antonella Lattanzi (laurea in lettere moderne, oggi collabora con varie case editrici in veste di traduttrice, editor e correttrice di bozze), ha il merito di raccontare un inferno invisibile ai nostri occhi accecati e corrotti dalla superficialità:
quello dei "nuovi" tossici (le overdose sono in diminuzione, ma le epatiti C sono in drammatico aumento...). Sì perché la droga in Italia non si è mai data alla fuga. Al contrario, di anno in anno ha allargato i suoi orizzonti e scoperto nuovi target (dai pre-adolescenti ai manager). "Devozione" racconta il ritorno (quantomeno mediatico) dell'eroina ("In realtà mai scomparsa", ci ha spiegato l'autrice) e la diffusione delle nuove sostanze stupefacenti. Lo fa dall'interno di un limbo di giovani alla disperata ricerca della felicità, meta irraggiungibile, in un viaggio conturbante al termine dell'autodistruzione, che ha tre protagonisti principali (Nikita e Pablo, coppia di eroinomani, e Annette, bambolina francese vittima di un assurdo tentativo di rapimento), e una serie di comparse incapaci di liberarsi dalla dipendenza. Come Roberto Saviano, Antonella Lattanzi per scrivere il suo libro ha prima vissuto sulla propria pelle la realtà drammatica che ha poi messo su carta. Nell'intervista rilasciata ad Affaritaliani.it, l'autrice ammette di aver adottato lo stesso metodo e lo stesso approccio alla scrittura dell'autore di "Gomorra", di certo il meno comodo, e parla di quella che definisce una personale "fascinazione" per l'eroina, scoperta da ragazzina a Bari a metà anni '90...
antonella lattanzi einaudi devozione
Antonella Lattanzi

Per scrivere "Devozioni" ha frequentato per anni i Sert (fingendosi tossica), i punti di ritrovo dei drogati del terzo millennio, le piazze dello spaccio, le comunità, in un inevitabile processo di immedesimazione con i giovani protagonisti del suo libro. Cosa l'ha spinto a farlo?

"La verità è che ho sempre voluto raccontare questa storia. Sin da piccola amavo scrivere, e sin da ragazzina devo ammettere di aver subito una fascinazione per la droga e l'eroina in particolare. Non ho però mai fatto uso di sostanze stupefacenti, meglio specificarlo. La mia droga è infatti sempre stata la scrittura. La passione per la letteratura mi ha salvato dalla droga e dalla morte ...".
E com'è nata questa sua pericolosa 'fascinazione' per l'eroina?
"Nella mia adolescenza a Bari con i miei coetanei mi ritrovavano in due piazze sempre affollate. C'erano i punk, i metallari, i discotecari e così via. E c'erano anche i tossicodipendenti. All'inizio, tutti i gruppi, indistintamente, guardavano ai drogati come a degli sfigati. Poi, i miei occhi da adolescente hanno assistito a un cambiamento: a metà anni '90 gli eroinomani sono improvvisamente diventatati trendy. E così, tanti adolescenti, senza più badare alle differenze di gruppo, andavano ad acquistare da loro la droga. L'eroina ha unito tipologie di ragazzi sulla carta completamente diverse. Quando negli ultimi anni ho studiato e approfondito il tema per scrivere questo libro, ho scoperto che in quel periodo questa trasformazione non è avvenuta solo a Bari, ma anche nel resto d'Italia".
Oggi si parla di un ritorno dell'eroina. E' davvero così?
"L'eroina non se n'è mai andata. Semplicemente si è abbassata l'attenzione mediatica. Il picco dei morti per overdose c'è stato nel 1996, furono circa 1500. Oggi, grazie ai Sert e alla somministrazione del metadone, gli eroinomani possono condurre una vita più normale, e questo è l'aspetto positivo. Ma ce n'è anche uno negativo: il metadone crea una dipendenza fisica più lunga dell'eroina, 8 giorni invece di 3. E poi, rispetto al passato, oggi esiste una vera e propria silenziosa epidemia di epatite C".
Lei ha avuto la possibilità di entrare in contatto con decine di tossicodipendenti. A nessuno ha detto la verità, e cioè che non era una drogata come loro?
"Solo a una ragazza con cui sono entrata in particolare intimità. Con lei si è creato un rapporto talmente profondo che non ho potuto mentirle".
Ma ha capito cosa spinge questi ragazzi a drogarsi?
"La loro non è quasi mai una scelta autodistruttiva. All'inizio anch'io ero piena di pregiudizi, e pensavo ai tossici come a dei morti viventi. Ma chi si fa di eroina non cerca la morte. L'obiettivo è liberarsi dal dolore. Gli eroinomani sono ipersensibili e incapaci di affrontare i problemi".
La sua scelta di immergersi nella realtà della droga per poi raccontarla è paragonabile a quella di Roberto Saviano...
"Il paragone è un po' forte, ma regge. Certo, va precisato che ci siamo occupati di temi diversi e  che 'Gomorra' è molto più reportage del mio libro, che è soprattutto un romanzo. E' però vero che entrambi per scrivere abbiamo avuto bisogno di scoprire sulla nostra pelle il mondo che poi abbiamo messo su carta".
Antonella Lattanzi, nel suo futuro cosa c'é?
"Sicuramente i libri. Sto già pensando al secondo. Voglio cambiare tema. Forse parlerò del rapporto madre-figlia

giovedì 6 ottobre 2011

LA DIPENDENZA DA EROINA

Dipendenza da Eroina

L'eroina è un potente analgesico che riduce l'attività cerebrale, producendo una sensazione di rilassamento, sicurezza e benessere. Agli inizi del secolo, l'eroina veniva usata in medicina come sedativo e anestetico, ma allora i medici non conoscevano il suo potenziale in termini di dipendenza. Quando si scoprirono i suoi effetti dannosi, l'uso della sostanza venne bandito. Attualmente, l'eroina non presenta molte applicazioni cliniche legittime, poiché i sedativi e gli anestetici sintetici hanno gradualmente sostituito l'uso dei composti oppiacei.

L'eroina pura si presenta sotto forma di polvere bianca, dal sapore amaro, che viene prodotta dalla linfa del papavero. L'eroina illegale può variare da un colore bianco al marrone scuro, a causa delle impurità residue del processo produttivo o degli adulteranti. Generalmente viene disciolta in acqua e iniettata, ma può essere anche fumata, miscelandola al tabacco, o riscaldata e inalata attraverso le esalazioni, o ancora ingerita.

Fino a non molto tempo fa, gli eroinomani assumevano l'eroina in forma impura, iniettandola per endovena o intramuscolo. Tuttavia, la disponibilità di quantità maggiori di eroina pura fa sì che molti di coloro che attualmente ne fanno uso la inalino o la fumino per ottenere l'effetto desiderato. Ciò significa che persone che non avrebbero mai provato l'eroina, perché avrebbero dovuto iniettarsela, potrebbero ora sperimentarla.

L'eroina è l'oppiaceo più potente. Appena iniettata, suscita uno stato di rilassamento e di benessere. Il dolore fisico ed emotivo è completamente annullato. Una delle ragioni per cui viene ancora impiegata come sostanza d'abuso è che induce una sensazione di sicurezza e tranquillità.

Gli effetti collaterali dovuti all'assunzione di eroina (particolarmente nei neofiti) comprendono irrequietezza, nausea e vomito; si alternano stati di vigilanza e stati di sonnolenza.

L'overdose è il rischio più prevedibile per chi assume eroina. Il fenomeno si verifica con qualsiasi modalità di assunzione, sebbene l'iniezione endovenosa sia quella più pericolosa. L'eroina deprime il sistema nervoso centrale e inibisce le funzioni vitali, quali le attività intellettive superiori, la respirazione e la frequenza cardiaca. L'assunzione di una dose elevata (specialmente se l'eroina è pura) può provocare uno stato comatoso, caratterizzato da un calo della temperatura corporea e da rigidità. La respirazione rallenta e diventa intermittente e può sopraggiungere la morte.

Gli altri rischi associati all'uso di eroina dipendono essenzialmente dalle modalità utilizzate per l'assunzione. Lo scambio di siringhe porta il rischio di contrarre infezioni quali HIV ed epatite B o C, che sono diffuse tra i tossicodipendenti che si iniettano l'eroina. Un altro pericolo è rappresentato dall'assunzione di eroina in associazione con altre sostanze. Alcol, benzodiazepine e barbiturici sono particolarmente pericolosi, in quanto agiscono tutti deprimendo il sistema nervoso centrale. Dato che anche l'eroina ha la stessa azione, l'effetto dell'associazione di queste sostanze può deprimere la respirazione o la frequenza cardiaca al punto tale da causare insufficienza respiratoria e cardiaca.

L'assunzione regolare di eroina determina tolleranza (indipendentemente dalla modalità di assunzione). Di conseguenza la persona tende ad aumentare gradualmente le dosi per ottenere gli stessi effetti iniziali. La tolleranza può svilupparsi molto rapidamente (nell'arco di alcune settimane) e continua ad aumentare se l'assunzione di eroina è regolare. La tolleranza diminuisce interrompendo l'uso di eroina, ma se si torna ad assumerla alle stesse quantità di prima, facilmente si manifesta una "overdose".

Interrompere l'assunzione della droga può essere difficile soprattutto a causa della gravità dei sintomi da astinenza. L'astinenza può indurre sintomi quali diarrea cronica, crampi muscolari, vomito, insonnia, sudorazione eccessiva, ansia e tremori. La prospettiva di questi sintomi scoraggia molti tossicodipendenti. Una volta che l'astinenza fisica viene superata, si continua a provare per molto tempo il desiderio spasmodico di assumere la droga, e le ricadute sono frequenti. In genere, per poter smettere, gli eroinomani hanno bisogno di una forte rete di assistenza che li aiuti a superare il bisogno spasmodico di droga.

FONTE:
NIDA - National Institute on Drug Abuse - USA

lunedì 3 ottobre 2011

INTERVISTA A RICCARDO ZERBETTO

Come si può definire attualmente il counseling?Anche se tentare una definizione per il counseling rappresenta una “soluzione impossibile”, come Pio Scilligo ha titolato la sua lettura magistrale in apertura ad un Congresso promosso nell’ottobre 2005 dal Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti (CNCP), che raccoglie circa 70 scuole riconosciute dal Ministero dell’Istruzione Università Ricerca (MIUR) ed aderenti al Coordinamento Nazionale delle Scuole Private di Psicoterapia (CNSP), si può concordare sul fatto che con il termine di counseling ci si riferisce ad una forma della “relazione di aiuto” che si colloca a ponte tra un intervento di generico “supporto” psicologico ed uno più professionalizzato di psicoterapia. Rispetto a quest’ultima, in particolare ci sono alcuni elementi distintivi come:
  • una più definita messa a punto degli obiettivi realisticamente raggiungibili valutando anche i limiti connessi a situazioni più impegnative di quanto realisticamente è possibile affrontare;
  • una contrattualità terapeutica che coinvolga attivamente l’utente nel processo della crescita personale e della socializzazione;
  • un modello integrativo di intervento che faccia riferimento sia ad aspetti “dinamici” di tipo psico-emozionale che ad aspetti più propriamente relazionali e con il “mondo esterno”;
  • una minore enfasi sugli aspetti transferali sul singolo terapeuta in vista di un allargamento ad una gamma più ampia di possibilità concrete di intervento e di mobilitazione delle risorse.
Come si pone il counseling nei confronti dell’intervento psicoterapeutico?
Nella tradizione del counseling  che, ricordiamo, si è originato nei paesi anglosassoni come forma di intervento spesso collegato all’orientamento sia in ambito scolastico che lavorativo o nel paesi dell’Est europeo come intervento nei confronti della coppia e della famiglia in sostituzione di analoghe attività in ambito pastorale- viene spesso indicata l’area di riferimento nella quale si applica.
Tra queste le più significative sono:
quella scolastica che si propone di incrementare le competenze del “docente referente per la salute” già previste dai Centri di Informazione e Consulenza (CIC) nella scuola,
socio-sanitaria (importanti le aree applicative per i servizi di trapianto d’organo, dialisi, chirurgia estetica e mutilante, patologie terminali, dipendenze e AIDS, eccetera),
familiare (non dimentichiamo la formazione in terapia relazionale ricevuta da molte figure professionali prima della legge sulla psicoterapia e che si troverebbero altrimenti nell’impossibilità di mentre a frutto le competenze apprese), eccetera.

Al di là di possibili aspetti competitivi tra le diverse professioni, è dato rilevare esperienze interessanti di utile integrazione e sinergia come quelle in cui uno psicoterapeuta affida al counselor alcuni casi che decide di non seguire (per limiti di tempo o indicazione specifica ad interventi più settoriali e mirati) e -per converso- di riferimento a psicoterapeuti da parte di counselor allorché la problematica si manifesta come clinicamente impegnativa e allorché il paziente si sente più pronto ad affrontare un lavoro più approfondito.

Laddove l’intervento del counselor si esprime al di fuori di un ambito istituzionale e quindi in un setting individuale, familiare o di gruppo ritengo che sia d’obbligo l’impegno alla supervisione con psicoterapeuti in grado di fornire un sostegno sugli aspetti diagnostici e di accompagnamento su processi più impegnativi.

Non bisogna dimenticare infatti che, al di là della norma generalmente accettata che prevede l’esclusione di interventi di counseling con persone affette da patologie più marcate, tali situazioni possono comunque presentarsi ponendo quesiti di non facile soluzione.

Il paziente, ad esempio, può insistere per rimanere in trattamento con il counselor e rifiutare un invio o, addirittura, preferire questo tipo di approccio ad uno orientato in senso più esplicitamente medico-psichiatrico o psicologico.

Chi può a suo avviso svolgere counseling e di quale tipo di formazione necessita?
Coerentemente alla tradizione anglosassone che riconosce maggior importanza alle competenze pragmatico-operative che teoriche, la Associazione Europea di Counseling (EAC) non richiede una laurea anche se la stessa, anche sotto forma di laurea breve, viene spesso richiesta da alcune organizzazioni nazionali.

sabato 1 ottobre 2011

CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA E SOCIALE "ISIDE"




Perchè Il nome Iside   

Abbiamo scelto questo nome perché nella mitologia egizia Iside rappresenta la dea della creatività, della fertilità e della rinascita, era colei che apportava la Cultura e dava salute; nel culto più antico Iside aveva due aspetti: Natura e Luna, da qui la nostra scelta di rappresentarla come una luna all’interno del logo dell’Associazione.
Il mito di Iside  narra che la dea ebbe il potere di assemblare le diverse parti del corpo per donare alla persona una nuova vita. Una caratteristica significativa della psicologia risulta essere l’integrazione delle diverse  parti del Sé, al fine di tendere ad un equilibrio e ad un’armonia tale da promuovere un ascolto ed una sana relazione con sé e con  l’altro.
Come la Dea poteva accedere ai tre mondi, cielo, terra e inferi, così l’individuo può accedere alle tre istanze psichiche, dando vita ad una “nuova” figura- persona.
Il Centro P.C.S. Iside, ha voluto prendere ispirazione da questa figura mitologica, utilizzando un logo che simbolicamente raffiguri una luna centrale (Iside) con delle frecce attorno, tali da esplicitare l’idea di movimento, a significato di scambio, reciprocità, dinamismo, interazione e dunque attivazione.
Le frecce sono a loro volta circondate da tre figure ovali volte a proteggere e allo stesso tempo a facilitare la crescita e lo sviluppo delle potenzialità della persona verso un’individualizzazione sana ed integrata.

Aggiungi pcs.iside ai tuoi contatti MSN!
Aggiungimi alla tua lista contatti